LA “VERITÀ”
Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità.
(1 Giovanni 3,18-19)



San Tommaso d’Aquino aveva definito la verità come l’«adeguazione tra l’intelletto e la realtà», cercando in tal modo di fondare l’oggettività della verità conosciuta dall’uomo. Quando si parla di verità nella Bibbia, veniamo condotti in un altro orizzonte, a partire già dal vocabolo ebraico più comune per definirla, ‘emet. Esso, in realtà, rimanda piuttosto all’idea di “fiducia” e di “fedeltà”: vero è, allora, ciò che Dio attesta con la sua parola e la sua autorità. Lo stesso vale per il Nuovo Testamento, soprattutto nel quarto Vangelo che ama questo vocabolo.

Per esempio, nelle cinque promesse dello Spirito Santo che vengono fatte da Gesù nell’ultima cena, spesso ci imbattiamo nella formula: «Spirito di verità», colui che ci «guiderà alla verità tutta intera» (Giovanni 16,13). Ora, il termine greco per indicare la verità è alétheia che letteralmente significa «svelare ciò che è nascosto»: il vero è, quindi, la realtà svelata, è la scoperta dell’essere profondo, insito a ogni cosa e in questa linea s’è mossa la riflessione filosofica greca. Ci può essere, perciò, la tentazione di intendere in senso “greco” e “metafisico” le dichiarazioni giovannee di Gesù sulla verità.

Pensiamo, per esempio, a quella celebre frase pronunciata durante la festa ebraica delle Capanne in polemica con «quei Giudei che avevano creduto in lui», ma che ben presto si sarebbero da lui dissociati: «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Oppure riferiamoci a quella dichiarazione, altrettanto celebre, rivolta alla donna samaritana: «I veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità» (Gv 4,23). Ora, la tentazione di leggere queste e altre affermazioni in chiave spiritualista o intellettualistica è forte. Tuttavia la strada interpretativa corretta è un’altra.

L’evangelista, infatti, usa quel vocabolo greco echeggiando sempre la matrice biblica che abbiamo sopra descritto e che è molto meno ideologica e più esistenziale. Si vuole piuttosto rimanda re all’amore di Dio che si svela e dona sé stesso, la sua parola e la sua salvezza: questa è la verità che la Scrittura vuole insegnare e che il credente deve, sì, apprendere e conoscere ma soprattutto accogliere e vivere. Non per nulla lo stesso verbo “conoscere” nel linguaggio biblico non è meramente intellettivo ma rimanda alla volontà, alla passione e persino all’azione, al punto tale da indicare anche l’atto sessuale d’amore.

In questa luce si comprende perché si parli di «fare la verità» (3,21), essendo la verità biblica un impegno vitale, espressione della nostra adesione alla rivelazione della volontà divina. Lo stesso «Spirito di verità» è lo Spirito Santo nella sua missione di far conoscere in pienezza la parola del Vangelo di Cristo che è «via, verità e vita» (Gv 14,6). Il Paraclito nella Chiesa ha, quindi, il compito di far comprendere e vivere la rivelazione di Gesù: «egli vi guiderà alla verità tutta intera..., prenderà del mio e ve l’annuncerà» (16,13-14). Come Gesù ha preso dal Padre verità e salvezza e l’ha comunicata a noi, così lo Spirito Santo continua nella storia a effondere la “verità” salvifica di Cristo.



LE PAROLE PER CAPIRE

VIGNA - Questa componente dell’agricoltura palestinese era divenuta un simbolo di Israele col profeta Osea che aveva comparato il popolo a una «vite rigogliosa» (10,1). Celebre è il “canto della vigna» in cui lsaia descrive l’infedeltà di Israele (5,1-7), come lo è la parabola dei vignaioli omicidi narrata da Gesù (Matteo 21,33-46).

FUOCO - Nella Bibbia, da un lato, è segno
divino nel roveto ardente del Sinai o nella nube di fuoco dell’esodo dall’Egitto; d’altro lato, è simbolo di giudizio, di castigo o di purificazione (Matteo 3,10-12; Malachia 3,2-3). Cristo disse: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra» (Luca 12,49).