L' ”EUCARISTIA”

Prendete, questo è il mio corpo... Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per molti.
(Marco 14,22-24)



La scena è nella mente di tutti. Su Gerusalemme sta scendendo il crepuscolo, forse ai primi di aprile dell’anno 30. Gesù sale al piano superiore di un edificio della città, in «una grande sala arredata con tappeti» (Mc 14,15) che fungono anche da “divano” per la bassa mensa sulla quale si prepara una cena, che è collegata al rito pasquale ebraico, nonostante le complesse questioni di calendario che sembrano collocare nei giorni successivi la vera scadenza della solennità ebraica. I Vangeli sinottici — Matteo, Marco, Luca — parlano, infatti, di «primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua» (14,12).

Le parole pronunciate da Cristo sul pane e sul vino vanno, comunque, oltre il rito pasquale dell’agnello, una celebrazione di origine nomadica legata alla transumanza dei greggi, trasformata dalla Bibbia in festa della liberazione di Israele dall’oppressione faraonica. Davanti al pane azzimo del rituale giudaico Gesù dichiara: «Questo è il mio corpo che è dato per voi...». Davanti a una delle quattro coppe di vino di quel rituale afferma: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati» (Luca e san Paolo faranno, invece, riferimento non tanto al rito di alleanza celebrato al Sinai, secondo Esodo 24, come fanno Matteo e Marco, ma alla “nuova alleanza” nello Spirito, cantata da Geremia 31,31-34).

È evidente l’aspetto sacrificale che la Lettera agli Ebrei marcherà con forza nella sua riflessione sulla morte e la risurrezione di Cristo: «Una volta sola, nella pienezza dei tempi, Cristo è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di sé stesso» (9,26). Infatti, “il corpo” dell’Eucaristia «è dato per voi» e il «sangue è versato per molti», che nel linguaggio semitico sta per “tutti”. C’è, però, un ulteriore aspetto da sottolineare: l’Eucaristia — termine greco che significa “azione di grazie”, “ringraziamento” e che sarà adottato dalla tradizione per denominare questo rito pasquale e sacrificale cristiano — opera anche un’alleanza, una comunione tra Cnsto e la sua Chiesa e il fedele.

È dò che viene sviluppato in forma molto vasta nel discorso che Giovanni mette in bocca a Gesù nella sinagoga di Cafarnao, dopo la moltiplicazione dei pani (6,26-58). Le parole di Cristo sono ormai impostate secondo i canoni di una vera e propria omelia che ha al centro il tema del “pane di vita”. Sotto questo segno si vuole innanzitutto evocare la fede nella persona di Cristo che dona totalmente sé stesso al fedele. In quella pagina si parla di “carne e sangue”, espressione semitica per designare appunto la persona nella sua realtà e identità. Si ha, quindi, una comunione efficace interpersonale tra uomo e Dio, al punto tale che il credente diventa partecipe della stessa vita divina: «Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno... Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (6,51.54).

Paolo va oltre e in questa comunione, in greco koinonia, col corpo e il sangue di Cristo nell’Eucaristia, vede anche la sorgente della nostra comunione koinonja fraterna: «Il pane che noi spezziamo non è forse comunione col corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti, infatti, partecipiamo dell’unico pane» (iCorinzi 10,16-17; vedi anche 11,17-34 ove si ribadisce in modo forte il nesso tra Eucaristia e amore fraterno). Non per nulla l’Eucaristia, che nel Nuovo Testamento è chiamata «la frazione del pane», è intimamente connessa alla koinonja fraterna nel ritratto che Luca disegna della Chiesa di Gerusalemme
(Atti2,42).



LE PAROLE PER CAPIRE

SANGUE - Era considerato il segno della vita: per questo non lo si doveva né bere né toccare per ragioni sacrali, essendo la vita dono di Dio. Gesù sconcerta i suoi ascoltatori quando offre il suo sangue come bevanda, anche se il riferimento è a una comunione mistica, quella dell’Eucaristia (Giovanni 6,55-56). “Carne e sangue” è una formula per indicare la realtà della creatura umana (Matteo 16,17; 1 Corinzi 15,50).

GETSEMANI - Nome di una località posta ai piedi del Monte degli Ulivi a Gerusalemme. Il termine in aramaico significa “frantoio per olive”. Là c’era, infatti, un uliveto dove Gesù si era recato coi suoi discepoli dopo l’ultima cena. Là egli verrà arrestato, dopo una drammatica preghiera (Matteo 26,36-56).