LA “MORTE”

Dio non ha creato la morte e non gode della rovina dei viventi. (Sapienza 1,13)



Mòt tamùt, «certamente morrai!»: questa gelida parola di Dio risuona fin dalle prime righe della Bibbia (Genesi 2,16). La morte fisica è il segno del limite della creatura, anzi, è un grande “simbolo” che unisce in sé tante morti dell’uomo, quella del peccato, della solitudine, della miseria, della violenza. Della morte sono striate quasi tutte le pagine della Bibbia: esse convergono verso una morte suprema, quella di Gesù Cristo sul colle di Gerusalemme detto “Cranio”, in aramaico Golgota, in latino Calvario. La paura della morte percorre tutti gli uomini della Bibbia.

Dall’orante del Salmo 39,6-7: «In pochi palmi hai misurato i miei giorni, e la mia durata davanti a te è un nulla. Solo un soffio è ogni uomo che vive, come un’ombra è l’uomo che passa». Per giungere al poeta del Salmo 90,3.5-6: «Tu fai ritornare l’uomo in polvere. Lo annienti, lo sommergi nel sonno, è come l’erba che germoglia al mattino: all’alba fiorisce, germoglia, alla sera è falciata e secca». Significative sono le parole del re Ezechia che, guarito da una gravissima malattia, esclama: «Non sono gli inferi a lodarti, o Signore, né la morte a cantare inni, ma è il vivente che ti rende grazie come faccio io oggi» (Isaia 38,18-19). Gesù davanti all’angelo della morte invoca: «Padre, se è possibile passi da me questo calice...».

La parola di Dio si incarna, allora, anche nelle paure e nel senso del limite dell’uomo: l’aldilà in molte pagine dell’Antico Testamento è detto Sheol ed è visto come una regione spettrale, vuota, in cui si ha una sopravvivenza larvale. Ma la parola di Dio progressivamente aiuta l’uomo a spezzare quella frontiera oscura e a mostrarla in una nuova luce. E questo avviene non solo a Enoch o a Elia che attraversano la morte entrando in Dio. Questo è anche il destino di ogni giusto.

Significativa è la professione di fiducia di due sahnisti. «Tu non abbando nerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Mi in dicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (Salmo 16,10-1 1). «Dio potrà riscattarmi, mi strapperà dalla mano della morte» (Salmo 49,16). libro della Sapienza, alle soglie del cristianesimo, esalta ormai in pienezza la comunione con Dio oltre la morte: «Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio... Agli occhi degli stolti parve che morissero ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono tormenti, la loro speranza è piena di immortalità» (3,1-4). Il Cantico dei cantici, infatti, è convinto che l’amore riesca a tener testa anche alla morte: «Forte come la Morte è l’Amore!» (8,6).

Ma è con la Pasqua di Cristo che il duello tra vita e morte giunge a uno sbocco: «La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!» (JC’orinzi 15,54-55.57). Cristo, il Figlio di Dio, passando all’interno della nostra mortalità fisica e spirituale, l’ha infranta e l’ha fecondata con un seme d’infinito. Egli è la “primizia” di coloro che sono morti e che risorgeranno, secondo la famosa immagine paolina.

È per questo, allora, che tra i cittadini della Gerusalemme attesa tratteggiata nell’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse, sarà per sempre assente la morte: «Egli tergerà ogni lacrima dai loro occhi, non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento». «E noi saremo sempre col Signore» in una comunione d’amore e di eternità (1 Tessalonicesi 4,17).

Un racconto giudaico noto anche al mondo islamico descrive così la morte di Abramo, nostro padre nella fede: «Abramo, quando l’angelo della morte venne per impadronirsi del suo spirito, disse: hai mai visto un amico desiderare la morte dell’amico? Il Signore gli rivelò allora: hai mai visto un amante rifiutare l’incontro con l’amato? Allora Abramo disse: Angelo della morte, prendimi!».