LA “PROFEZIA”

Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua. (Marco 6,4)



La presenza di una figura carismatica, attraversata da una voce trascendente, appare in quasi tutte le religioni: la stessa Bibbia (Nm 22) presenta un mago pagano, Balaam, che viene riconosciuto come testimone di un messaggio divino autentico. Tuttavia la profezia biblica ha caratteristiche così originali da renderla un unicum, nella sua sostanza più intima, tanto da fame — come scriveva il filosofo Karl Jaspers — «un evento cardine nella storia del mondo». Il profeta biblico è per eccellenza un messaggero del Dio trascendente e personale, tant’è vero che la formula introduttoria o conclusiva costante degli oracoli (detta appunto “del messaggero”) è: «Così dice il Signore...».

I termini con cui viene denominato il profeta sono molteplici. Egli è detto per 315 volte nabi probabilmente “chiamato”, mosso quindi da un’irruzione divina nella sua vita, come ricorda uno di essi, Amos (VITI sec. a.C.): «Non ero profeta né figlio di profeti; ero un pastore e raccoglitore di sicomori. Il Signore mi prese da dietro il bestiame e mi disse: Va’ e profetizza al mio popolo Israele!» (7,14-15). Altra definizione è quella di “uomo di Dio”, ripetuta per 76 volte, soprattutto per Elia ed Eliseo, i primi profeti in senso stretto, dei quali non sono pervenuti gli scritti ma solo racconti biografici costellati di “fioretti”, raccolti nei due Libri dei Re. C’è, poi, il termine hòzeh, “visionario” (16 volte), a cui si può accostare ro’eh, “veggente” (11 volte): si marca qui più la visione trascendente che svela al suo interno un messaggio divino.

Ma l’antica versione greca della Bibbia detta dei Settanta e il Nuovo Testamento hanno adottato il vocabolo greco prophétes, che contiene il verbo phemz “parlare”, e la preposizione pro che rimanda a tre significati utili per definire la missione profetica: “in luogo di, davanti a, prima di”.

Decisivo è il primo significato: il profeta parla “in nome di Dio”, ne è il portavoce presso gli uomini. Proprio per questa funzione, il profeta è uomo del presente, è coinvolto nella storia, nella società, nei drammi del suo tempo. Basta sfogliare le pagine profetiche per scoprire informazioni e coinvolgimenti in guerre e questioni internazionali, in ingiustizie sociali e in attese di liberazione, in tensioni politiche e in vicende nazionali.

La presenza del profeta ha, allora, il compito di mostrare il senso profondo della storia, quello che Dio vi imprime nel suo agire nascosto e che vorrebbe fosse seguito dalle libere scelte umane. La sua è un’opera di decifrazione del significato della vita sotto l’involucro dell’agire e dell’agitarsi umano: senza la sua voce, diceva il grande filosofo Pascal, «non sapremmo chi ci ha messo in questo angolo dell’universo, che cosa siamo venuti a fare e che cosa diventeremo morendo» (Pensierin. 693). È per questo che il Canone ebraico ha chiamato “Profeti anteriori” anche i libri storici della Bibbia, proprio perché di scena non è mai la semplice storiografia, ma la storia della salvezza.

E per quanto riguarda le altre accezioni della preposizione pro? Esse hanno un loro valore: il profeta è un uomo pubblico, il suo è un messaggio divino da proclamarsi “davanti alla” comunità; non è un carismatico esoterico, tant’è vero che spesso egli ricorre ad azioni simboliche “recitate” davanti all’assemblea del popolo (in particolare Ezechiele). Infine, il profeta parla “prima” di certi eventi, non perché sia un indovino, ma perché egli rivela le dinamiche segrete della storia, la loro carica “messianica” che dà un senso ultimo alla nostra vicenda umana.

A questo punto sarebbe necessario passare alla lettura delle pagine dei quattro profeti “maggiori” e dei dodici “minori” per cogliere il nesso profondo tra fede e storia, tra culto e vita e per scoprire il loro significato nella teologia del Nuovo Testamento.



LE PAROLE PER CAPIRE

FONTE Q - Con questa formula coniata dagli studiosi — nella quale Q sta per il tedesco Quelle, “fonte” — ci si riferisce a una raccolta di detti (in greco Iòghia) di Gesù, eseguita già prima dei Vangeli e usata dai primi tre evangelisti per elaborare i loro scritti, unitamente ad altre fonti proprie, oltre al Vangelo di Marco che servì come base comune a Matteo e a Luca.

FRATELLI E SORELLE DI GESÙ - Nel mondo semitico “fratello” e “sorella” indicano una gamma piuttosto varia di relazioni parentali per cui non è possibile dire con certezza quale sia il legame di questi “fratelli e sorelle” con Gesù. La tradizione cristiana li considererà come semplici cugini, affermando la verginità di Maria. Forse l’espressione indicava genericamente il clan parentale di Gesù, dotato di un certo potere nella Chiesa delle origini.