“ PREDESTINAZIONE ”

Ci ha scelti prima della creazione de! mondo..., predestinandoci a essere suoifig!i adottivi. (Efesini 1,4-5)



La parola “predestinazione” trascina spontaneamente nella convinzione comune il rimando a uno dei maggiori esponenti della Riforma protestante, il francese Giovanni Calvino (1509-1564), che effettivamente elaborò su questo tema una sua dottrina destinata ad avere articolazioni successive molto complesse, soprattutto nei suoi discepoli, e a suscitare contrasti veementi. In realtà, la questione ha le sue radici nel Nuovo Testamento e si connette a una serie ditemi affini come quelli dell’elezione, della grazia, della vocazione e della libertà. Il passo paolino che più funge da riferimento è nell’inno posto in apertura alla Lettera agli Efesini (1,3-14).

Là si usa un verbo greco pro-orizein che letteralmente significa “determinare in anticipo i confini”, di una realtà o di un evento. Siamo, quindi, in presenza di un “progetto”, di un piano divino (in greco pròthesis) che scaturisce dalla volontà di salvezza di Dio Padre, attuata in Cristo Gesù (in greco eudokia). Tutte queste parole echeggiano proprio nelle frasi centrali di quell’inno:
«Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo... predestinandoci (pro-orizein) a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito (eudokia) della sua volontà... In Cristo siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati (pro-orfzein) secondo il piano (pròthesis) di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà» (1,4-5.1 1).


C’è, dunque, un grande disegno divino, concepito fin dall’eternità: in esso Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Timoteo 2,4). È questa la volontà salvifica universale di Dio: «Dio non ci ha predestinati alla sua collera ma all’acquisto della salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo» (1 Tessalonicesi 5,9). Si tratta, dunque, di un progetto gratuito ed efficace, eterno e certo, per cui tutti sono chiamati a essere nella luce, nella gloria e nella dignità dei figli di Dio stesso. Questo, però, non significa che nella storia Dio salverà tutti gli uomini, prescindendo dalla loro libertà perché smentirebbe sé stesso che ha creato l’umanità dotata di libera scelta.

Dio salverà certamente — ed era questo il suo “progetto” quando creò l’uomo — quanti non si oppongono coscientemente, deliberatamente, ostinatamente alla sua eudokia, alla sua “buona volontà”, al suo amore salvatore. La “predestinazione”, intesa in questo senso biblico, esalta quindi e non penalizza la creatura libera, rendendo l’uomo un autentico interlocutore di Dio e, con lui, arbitro e signore del suo destino ultimo. Grazia e fede si devono, quindi, intrecciare perché il “progetto”, la pròthesis divina si attui: «Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza attraverso l’opera santificatrice dello Spirito e la fede nella verità» del Vangelo (2 Tessalonicesi 2,13).

La visione calvinista era, invece, più rigida: il disegno eterno e imperscrutabile di Dio predestina alcuni a ricevere la grazia salvifica di Cristo in modo così efficace da essere in condizione di non potersi opporre alla volontà divina. Tutto questo era sostenuto per esaltare il primato assoluto di Dio e della sua grazia sopra la libertà umana. In realtà Dio è così grande da non essere umiliato nel rispettare la libertà della creatura, peraltro da lui voluta. È in questa luce che devono essere interpretati i passi biblici sulla “predestinazione”: tra di essi suggeriamo la lettura del bellissimo paragrafo di Romani 8,28-30.



LE PAROLE PER CAPIRE

SICOMORO - Questo albero, coltivato dal profeta Amos, fa parte della vegetazione subtropicale. Originario dell’Egitto, ha un nome di origine greca che significa “fico a forma di mora”, forse a causa della configurazione dei suoi frutti. Dalle sue cortecce si ricavava una sorta di sughero. È divenuto celebre nel racconto di Zaccheo, “capo dei pubblicani”, salito a Gerico su un sicomoro per vedere Gesù (Luca 19,1-10).

RICAPITOLARE - Questo verbo presente nell’inno di apertura della Lettera agli Efesini (1,10), contiene la parola greca kefalé/kefàlaion che indica o la testa, per cui Cristo è il capo di tutto l’essere creato e in particolare della Chiesa, oppure l’asse attorno a cui si avvolgeva il rotolo scritto di pergamena, così da considerare Cristo come colui che “ricapitola” in sé ogni cosa, dando significato a tutta la realtà.