LA “CRISTOLOGIA”

Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo! (Marco 9,7)



La centralità della figura di Gesù Cristo nel Nuovo Testamento è tale da rendere del tutto impossibile tracciare in poche righe la sua figura storica e il suo significato teologico. Egli unisce in sé eterno e storia, infinito e spazio, divino e umano: è il Logos, il Verbo che è Dio, ma è anche sarx, che è la carne dell’uomo, realtà legata al tempo. E queste due dimensioni non devono scindersi, contrapponendo un Gesù della storia al Cristo della fede, ma si intrecciano intimamente nel mistero dell’Incarnazione e nella persona di Gesù Cristo (si veda Filippesi 2,5-1 1). Noi ora ci accontenteremo di fermarci brevemente solo su alcuni titoli crisiologici che per il Nuovo Testamento sono vere e proprie sintesi che delineano il volto di Cristo.

Il primo è proprio l’appellativo Cristo che raccorda Gesù all’Antico Testamento. Infatti il termine deriva dal greco chrjo, che significa “ungere”, “consacrare”: Cristo è l’”unto” con l’olio sacro simbolico che consacrava re e sacerdoti. Ora, in ebraico “unto, consacrato” è mashiah, donde il nostro “messia”.

Per questo, Gesù è visto come il Messia-Cristo sperato e atteso dall’Israele biblico e a lui saranno attribuite dal Nuovo Testamento le profezie messianiche antiche. Sulla scia della fede in Cristo, i suoi fedeli saranno chiamati “cristiani” (per la prima volta ad Antiochia, secondo Atti 11,26). Nella Prima Lettera di Pietro “cristiano” è ormai un titolo glorioso: «Se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome» (4,16).

Tuttavia il titolo “Cristo” trascende nell’accezione cristiana il valore originario: il Messia di Israele era una creatura umana, l’inviato supremo di Dio, il lato- re della sua parola definitiva, non era partecipe della natura divina. È per questo che nei Vangeli ci si imbatte, soprattutto sulle labbra di Gesù, con un altro titolo, Figlio dell’uomo. Di per sé la locuzione, cara al profeta Ezechiele, significa semplicemente “uomo”. Tuttavia nel libro di Daniele era stata introdotta una figura misteriosa descritta appunto come «simile a un Figlio d’uomo». Costui era stato presentato davanti a Dio «che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno che non tra- monta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto» (7,13-14).

Per il profeta Daniele questo personaggio forse sintetizzava in sé “i santi dell’Altissimo”, ossia gli Ebrei fedeli e perseguitati dal potere pagano siro-greco di allora, facendoli così diventare il popolo messianico destinato al trionfo e al regno per opera di Dio. Tuttavia la tradizione giudaica successiva aveva attribuito al “Figlio dell’uomo” un significato personale messianico: la figura del Messia risultava dotata di qualità altissime, superiori a quelle Che comportava il titolo di “Figlio di Davide”, divenendo quasi partecipe della sfera di Dio. È in questo senso che Gesù l’assume per sé, sollevando lo scandalo dei suoi uditori, soprattutto in occasione del processo davanti al sommo sacerdote Caifa, che lo accusa di bestemmia.

Giungiamo, così, al terzo titolo, Figlio di Dio. Nell’Antico Testamento aveva un valore “debole”, tant’è vero che era genericamente attribuito al re, agli Israelitio agli angeli. Nel Nuovo Testamento acquista, invece, un valore pregnante e “letterale”. Nella scena inaugurale del battesimo «una voce dal cielo» proclama su Gesù: «Questi è il Figlio mio prediletto nel quale mi sono compiaciuto» (Matteo 3,17). A metà del suo ministero pubblico, Gesù nella Trasfigurazione è interpellato da «una voce dalla nube» così: «Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!» (Marco 9,7). E, infine, ai piedi della croce il centurione romano esprime la fede di tutti i cristiani professando: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!» (Marco 15,39).



LE PAROLE PER CAPIRE

GNOSI - li termine greco significa di per sé “conoscenza”. Esso, però, fu adottato per definire una corrente del cristianesimo dei primi secoli, indine a esaltare la via intellettiva come strada suprema della salvezza. Si tendeva, così, a svalutare l’incarnazione di Cristo, considerata come una dimensione troppo “pesante” e “carnale” (vedi 1Giovanni 4,2-3) rispetto allo spirito e al pensiero e, naturalmente, alla divinità.

TEOFANIA - È il termine tecnico usato per designare le solenni apparizioni divine (tale, infatti, è il significato greco sottostante al vocabolo). Da un lato, si esalta la trascendenza divina con apparati cosmici (fulmini, tuoni, terremoti); d’altro lato, la vicinanza attraverso la sua parola rivelatrice (vedi Esodo 19-20).