Paolo ai cristiani di Roma
 

 Se stiamo al computo dei versetti - la cui numerazione è stata introdotta per la prima volta nel 1528 da Sante Pagnini in un'edizione della Bibbia pubblicata a Lione -, le tredici lettere che portano il nome di Paolo ne contano 2.003 su un totale di 5.621 dell'intero Nuovo Testamento.
Siamo, quindi, in presenza di un vasto materiale che però, nonostante sia letto a brani ogni domenica e spesso durante le settimane dalla liturgia, rimane lontano da una conoscenza approfondita da parte dei cristiani.
Eppure l'apostolo ha esercitato un influsso profondo non solo sulla teologia, ma anche sull'intera cultura dell'Occidente.
Noi ora durante la Quaresima vorremmo dedicare la nostra rubrica alla lettera più importante, quella ai Romani, considerata come il capolavoro teologico paolino, ma anche come uno dei testi capitali della storia della cristianità e della stessa civiltà occidentale.
Uno dei commentatori di questo scritto, Paul Althaus, affermava: «Le grandi ore della storia della Chiesa sono state le grandi ore della lettera ai Romani».
Basti solo pensare alle lezioni che Lutero tenne su queste pagine paoline nel 1515- 16, alle soglie di quella svolta che sarà la riforma protestante.
È curioso notare che l'autografo di quelle note che sono state tradotte e commentate ottimamente da un mio amico e collaboratore, Franco Buzzi per le edizioni San Paolo - è stato, sì, scoperto, Berlino nel 1908, ma una copia era già venuta alla luce nel 1889 nientemeno che nella Biblioteca Vaticana.
Ed è altrettanto curioso osservare che la lettera ai Romani causa di divisione e tensione nella cristianità, è divenuta ai nostri giorni uno strumento di dialogo ecumenico: è. infatti, con la versione di questa lettera che è iniziata nel 1967 in Francia la pubblicazione della Traduzione ecumenica della Bibbia.
Quest'opera paolina, considerata da Filippo Melantone (uno dei padri con Lutero della Riforma protestante) «il compendio della dottrina cristiana», «è attraversata, come un cielo da lampi, da grida di dolore e di gioia, da dialoghi concreti e da confessioni drammatiche» (così la descriveva un noto esegeta cattolico ora scomparso, Salvatore Garofalo).
Paolo la scrive da Corinto tra il 55 e il 58 con l'aiuto di uno scriba di nome Terzo che si firma in 16,22 («Vi saluto nel Signore anch'io, Terzo, che ho scritto la lettera»).
Noi ovviamente non potremo né vorremmo offrire un commento ai 432 versetti di questa lettera indirizzata alla Chiesa insediata nel cuore dell'impero, in una Roma che allora ospitava forse un milione di abitanti, tra i quali si contavano cinquantamila ebrei con ben tredici sinagoghe.
Il nostro sarà solo uno sguardo dall'alto, cercando di cogliere i temi e i simboli delle pagine più intense ed esaltanti, attingendo soprattutto alla prima parte dell'opera, quella che esprime il cuore del pensiero paolino (capitoli 1-11).
Arrivederci, allora, alla prossima settimana.