Isacco, figlio della promessa

  
Ritorniamo per la terza volta su una delle pagine più alte ed emozionanti della Bibbia, il capitolo 22 della Genesi.
Abbiamo già spiegato che la prova di Abramo ha come centro la sua fede.
Ma c’è una logica in questa tempesta che sembra scardinare non solo la paternità ma anche la stessa parola di Dio?
Isacco non era forse il figlio della promessa divina?
La risposta potrebbe essere così formulata.
Abramo dev’essere pronto a rinunziare al figlio carnale Isacco, alle ragioni della carne e dei sangue, fidandosi solo di Dio e dei suo ordine, cioè della sua parola.
Ed egli accetta di seguire questa strada sofferta e drammatica che lo porta a sacrificare il legame paterno-filiale.
Alla fine Abramo riceve Isacco non più come figlio, generato da lui, ma come dono di Dio per eccellenza, il vero frutto della promessa, la grazia pura e assoluta. Non per nulla la finale del racconto è riempita della promessa divina:
«Io ti benedirò di ogni benedizione e renderò immensa la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul litorale marino» (Genesi 22,17).
È proprio attraverso la paradossale spoliazione di sé, della ragione e persino della morale e degli affetti che Abramo ritrova Isacco come la parola e la promessa divina incarnata.
Il figlio della carne e del sangue scompare idealmente sul monte del sacrificio, il Moria.
Quello che accompagnerà Abramo scendendo dal monte non è più un semplice erede tribale o un figlio di Sara, sia pure avuto in modo prodigioso, sarà il vero figlio “promesso”.
Per riceverlo, però, il patriarca ha dovuto affondare il coltello nella sua paternità.
Solo rinunciando a tutto e rimanendo fedeli nel giorno tempestoso della prova, si ottiene tutto, come ripeterà anche Gesù introducendo la legge del perdere per trovare, del lasciare per ricevere (Luca 18,28-30).
Il filosofo danese Soeren Kierkegaard (1813-1855), che ai nostro testo ha dedicato pagine stupende nella sua opera Timore e tremore, esclamava: «Venerabile padre Abramo, quando sei tornato a casa dal monte Moria, tu avevi guadagnato ogni cosa con la fede e avevi conservato Isacco. Il Signore non te l’aveva preso ma ridato. Tu sedevi a tavola con lui serenamente nella tua casa, come ora fai lassù nell’eternità».
L’obbedienza della fede è dura e aspra, ma alla fine dona pace e rivela che dietro il volto apparentemente crudele di Dio si cela un progetto non di morte ma di vita e di grazia.
E ancora il filosofo Kierkegaard che spiega il vero volto di Dio nascosto nel giorno della prova: «Quando il bambino dev’essere svezzato, la madre si tinge di nero il seno. Sarebbe crudele che il seno restasse desiderabile quando il bambino non deve più attaccarsi. Così il bambino crede che la madre sia cambiata. Ma la madre è la stessa e il suo sguardo è sempre pieno di tenerezza e di amore»