Il Profeta Geremia si ribella

 
Abbiamo lasciato la scorsa settimana il profeta Geremia nel baratro della sua crisi interiore, descritta nel capitolo 20 del
suo libro, una pagina rovente di protesta nei confronti di Dio e di desolazione interiore. Da un lato, c’è l’uomo Geremia
che vuole abbandonare il suo ministero profetico; dall’altro lato, c’è Dio che non lo lascia: è l’intreccio drammatico tra
libertà umana e opera divina.
Contro questo nodo cozza Geremia come tanti altri nella storia.
La libertà non è, però, annullata.
Anche se Dio è come un fuoco che ti brucia l’anima, il profeta reagisce con un grido estremo di protesta e persino di
disperazione. E l’ultima e terribile strofa della "confessione" dei capitolo 20: «Maledetto il giorno in cui nacqui! Il giorno
in cui mia madre mi generò non sia benedetto! Maledetto chi dette la notizia a mio padre e lo colmò di gioia.
Quell’uomo diventi come le città demolite senza pietà dal Signore: senta urla al mattino e strepiti di guerra a mezzodì.
Perché non mi ha fatto morire nel grembo materno e mia madre sarebbe stata la mia tomba e il suo grembo gravido per
sempre? Perché mai sono uscito da quel grembo per vedere tormenti e sofferenze e finire i miei giorni nell’infamia?»
(20,14-18).
Giobbe nel capitolo 3 del suo libro riprenderà lo stesso grido quasi suicida, anzi lo stesso anelito a non essere neppur
esistito, in un sogno di pace e liberazione. E sorprendente il fatto che Dio non condanni la bestemmia del disperato e
continui ad assegnare la sua fiducia e l’incarico profetico al ribelle.
La relazione con Dio è un capitolo grandioso, luminoso e oscuro, della vita di ogni persona e fa parte anch’essa del
mistero. Certo è che Geremia rimarrà una delle figure più alte nella rappresentazione dell'io" umano in relazione con Dio.
Ne è testimonianza la ripresa di due scrittori di lingua tedesca del XX secolo.
Il primo è l’austriaco Stefan Zweig, nato a Vienna nel 1881 e morto in Brasile nel 1942, suicida insieme alla moglie,
disperato per il crollo dell’Europa sotto la barbarie della guerra e del nazismo. Egli. nel 1917, in piena prima guerra
mondiale, aveva composto un dramma intitolandolo semplicemente Jeremias.
II profeta vi appariva «come baluardo del sentimento spirituale contro l’insensatezza del tempo in cui si vive».
Egli faceva cadere tutte le vie illusorie di salvezza e, così, giungeva alla soglia della disperazione.
Ma il suo crollo non era per la morte definitiva sua e del popolo, bensì per la risurrezione:
«Ci hai indebolito il corpo, o Signore!», esclama Geremia «ma ci hai rafforzati nello spirito!».
L’altro scrittore è l’ebreo Franz Werfel nato a Praga nel 1890, rifugiatosi col nazismo negli Stati Uniti, ove morirà nel
1945, divenuto famoso per il suo Bernadette, dedicato alle apparizioni di Lourdes. Nella sua biografia romanzata del profeta, Ascoltate la voce! (1937, ripubblicata nel 1956 come Geremia) egli aveva
esaltato nella "nuova alleanza" nello spirito l’originalità della fede biblica e del messaggio del profeta (31,31-34).
Un’alleanza che non cancella le prove ma che è donata a Israele "perché viva" nella pienezza.