Giacobbe diventa Israele

  
«O Eterno, non lascio la tua mano, la tua dura mano, « prima che tu mi abbia benedetto.
Benedici me, tua umanità che soffre, soffre per tuo dono della vita.
Me per primo che tanto ho sofferto per il dolore di non poter essere quello che volevo».
Così pregava un personaggio della Grande strada maestra, opera del drammaturgo svedese August Strindberg (1909).
È evidente in queste righe l’allusione alla scena della lotta con l’uomo-angelo che Giacobbe ingaggia alle rive del fiume Jabbok e che è descritta in Genesi 32,23-33.
La scorsa settimana abbiamo già descritto quel racconto e l’importanza che esso ha avuto nella storia della cultura occidentale.
Ora ci fermeremo sul significato di quella pagina potente e tenebrosa.
La vicenda, infatti, è accompagnata da un corteo di ombre:
la notte, il fiume impetuoso, il mistero dell’avversario, la ferita di Giacobbe al nervo sciatico, la lotta.
Lo stesso dialogo con Dio è simile a una contesa.
A prima vista è l’uomo a prevalere («... vedendo che egli, cioè Dio, non riusciva a vincere Giacobbe») in un duello che costringe il Signore a riconoscere:
«Hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!». La libertà dell’uomo si erge, quindi, grandiosa sulle sponde di quell’affluente del Giordano; può persino piegare Dio affinché conceda la sua benedizione, cioè la sua energia vivificatrice e creatrice.
Tuttavia la vittoria finale decisiva è del lottatore misterioso, Dio. E non solo perché Giacobbe esce da quel campo di combattimento zoppicante e ferito, ma perché è costretto a rivelare all’Avversario il proprio nome: «Come ti chiami? Giacobbe!», cioè, secondo la concezione orientale, è costretto ad affidare nelle mani dell’antagonista l’intera sua personalità.
Ma c’è di più. Il suo nome Giacobbe, che significava “soppiantatore” del fratello Esaù (vedi Genesi 25,25-26), è sostituito con un nome nuovo, Israele, interpretato liberamente come “contendere con Dio” (sebbene l’autentica etimologia rimanga incerta): «Hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!».
Si genera, così, un uomo nuovo, non più quello della lite tribale con Esaù, ma il protagonista della contesa divina. Giacobbe muore per lasciare spazio al capostipite del popolo dell’elezione. «Spuntava il sole quando Giacobbe passò a Penuel», si dice nel racconto. Sorge l’aurora di una nuova era, si apre un nuovo giorno di salvezza, nasce una nuova creatura dalle ceneri dell’uomo vecchio. Dio, però, non rivela il suo nome. Di lui si può avere un’esperienza diretta - lo si può persino «vedere faccia a faccia», si dice nel versetto 31, cosa che altrove nella Bibbia è considerata impossibile per la creatura umana ,- tuttavia la sua intima natura, rappresentata nel nome, risulta inaccessibile