Percorsi lenti e tortuosi
 

Abbiamo raccolto tutto il libro di Qohelet - Ecclesiaste finora attorno a sette malattie dello spirito e della vita: quelle della parola, dell’azione, della sapienza, della storia, della società, dell’esistenza.
L’ultima e più grave crisi è quella che colpisce la religione.
Dio è sentito lontano e freddo.
La sua opera contiene in sé un’incomprensibilità tale da spegnere ogni interrogativo e rendere vana non solo la contestazione, ma anche ogni tentativo di decifrazione. Significativa è l’unica dichiarazione strettamente religiosa di Qohelet (4,17-5,6) riguardante il culto e i voti: «Quando pronunci parole davanti a Dio, non essere precipitoso con la bocca e frettoloso col pensiero: Dio è nei cieli e tu stai sulla terra! Perciò, poche parole! » (5,1). L’uomo «non può contendere con chi è più forte di lui» (6,10) e deve rassegnarsi. «Come ignori per qual via lo spirito vitale entri nelle membra del ventre gravido, così ignori l’azione di Dio che fa tutto» (11,5). Di fronte a tale visione ogni dialogo con Dio si blocca o si riduce a “poche parole”.
Come possiamo, a questo punto, definire Qohelet “parola di Dio”? O ancora, come ha fatto il Canone delle Sacre Scritture, e quindi la comunità giudaica e cristiana, ad accogliere al proprio interno un testo così “scandaloso”?
La risposta può essere duplice.
Innanzitutto si deve ricordare che per la Bibbia la parola divina s’incarna e si esprime attraverso la storia e l’esistenza.
Essa, perciò, acquista anche rivestimenti miseri, può farsi domanda, supplica (Salmi), violenza (in molti testi storici), persino imprecazione (Giobbe) e dubbio (in Qohelet). Si vuole, così, affermare che nella stessa crisi dell’uomo e nel silenzio di Dio si può nascondere una parola, una presenza, un’epifania segreta divina.
Il terreno umano dell’interrogativo amaro può essere misteriosamente fecondato da Dio.
La rivelazione, quindi, può passare attraverso le oscurità di un uomo come Qohelet, disincantato e in crisi di sapienza, ormai vicino alla frontiera del silenzio e della negazione. Il silenzio di Dio e della vita non è per la Bibbia necessariamente una maledizione, ma è una paradossale occasione d’incontro lungo strade inedite e sorprendenti. Qohelet è, dunque, la testimonianza di un Dio povero che ci è vicino, non in virtù della sua onnipotenza, ma della sua “incarnazione”, ed è in questa fratellanza che salva e si rivela.
La parola “ispirata” di Qohelet è da interpretare, in secondo luogo, alla luce della concezione generale della storia della salvezza che la Bibbia ci offre. Essa è, sì, direzionale; ha una meta di pienezza che per il Nuovo Testamento si compie in Cristo, ma conosce un percorso sinusoidale, che comprende soste e traiettorie tortuose, tappe lente e oscure.
Qohelet esprime la realtà che è costante nella storia umana ma è anche come un’attesa e una proiezione verso una meta più alta che spezzi la ripetizione.
Padre David M. Turoldo si rivolgeva al nostro sapiente così: «... O Qohelet: / mai la stessa onda si riversa / nel mare e mai / la stessa luce si alza sulla rosa: / né giunge l’alba / che tu non sia / già altro!». E, infatti, subito dopo Qohelet, nella Bibbia s’incontra il Cantico dei Cantici, che è la celebrazione della novità, della sorpresa, della freschezza della vita, della speranza e dell’amore.