Due sapienze a confronto
 

 Ho qui davanti a me, da un lato, quattro grossi volumi che totalizzano più di 1.500 pagine e, dall’altro, tre volumi altrettanto fitti che trattano lo stesso soggetto: sono due monumentali commenti - l’uno in francese composto dall’esegeta domenicano C. Larcher, e l’altro in italiano, del professore universitario G. Scarpat - dedicati a un libro dell’Antico Testamento di soli 19 capitoli, scritto non in ebraico ma in greco, alle soglie dell’era cristiana, forse ad Alessandria d’Egitto.
È il Libro della Sapienza, un’opera che con molta finezza affronta tre temi:

l’immortalità beata del giusto (capitoli 1-5),
la sapienza come dono divino (capitoli 6-9)
e la storia come lotta tra bene e male, meditata alla luce dell’esodo di Israele dall’oppressione faraonica (capitoli 10-19).

Ho avuto la fortuna nella mia vita di aver studiato quest’opera biblica sotto la guida di uno dei maggiori studiosi di Platone, il gesuita francese E. Des Places, morto quasi centenario l’anno scorso. Nei suoi corsi egli cercava di mostrare come questo autore sacro, che si era rivestito dei panni ideali di Salomone, considerato il padre della sapienza (cioè della riflessione filosofico-teologica) d’Israele, facesse balenare in filigrana a ogni sua pagina i rimandi o le allusioni alla cultura greca a lui ben nota.
Vorremmo oggi indicare un esempio di questa sua attenzione al pensiero che circolava nella città ellenistica in cui egli viveva e all’atmosfera culturale che egli respirava. Questa volta mostreremo come il Libro della Sapienza prenda le distanze da una certa visione del mondo proposta da alcune filosofie considerate inaccettabili. Nel capitolo 2 dell’opera, infatti, si introduce una sorta di canto corale degli empi che, tra l’altro, esclamano:
«Siamo nati per caso, e dopo saremo come se non fossimo stati. È un fumo il soffio delle nostre narici, il pensiero è una scintilla nel palpito del nostro cuore. Una volta spentasi questa, il corpo diventerà cenere e lo spirito si disperderà come aria leggera» (2,2-3).
Larcher, nel commento a cui sopra si accennava, precisa che ogni vocabolo greco usato dall’autore ispirato ha paralleli nella cultura filosofica greca e indica come emergano rimandi alla visione stoica, al pensiero del filosofo Eraclito, a quello di Democrito, a una concezione materialistica che considera il pensiero come una scintilla emessa dal battito cardiaco, destinata a estinguersi con la morte. Di fronte a una prospettiva simile la reazione è una sola. Se la vita è come «nube o nebbia scacciata dai raggi del sole, allora godiamoci i beni presenti..., inebriamoci di vino squisito e di profumi, non lasciamoci sfuggire il fiore della primavera, coroniamoci di boccioli di rose, prima che avvizziscano» (2,4-8).
Ma l’autore biblico suggella così questo ragionamento: «La pensano così ma si sbagliano, la loro malizia li ha accecati» (2,21).