LA"VIA DELLA BELLEZZA"
Alcuni anni fa stavo leggendo l’opera di un filosofo tedesco che vevo spezzato drammaticamente i suoi legami col cristianesimo. Il suo nome era Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900) e il libro che avevo tra mano si intitolava Morgenròthe, “Aurora”. In una delle pagine preparatone stese dal filosofo per quest’opera trovai una frase che ho avuto spesso occasione di citare: «Tra ciò che sentiamo alla lettura dei Salmi e ciò che proviamo alla lettura di Pindaro o Petrarca c’è la stessa differenza fra la patria e lo terra straniera». Certo, quando ripetiamo i versi «Chiare, fresche e dolci acque / ove le belle membra / pose colei che sola a me par donna...» del grande poeta di Arezzo, proviamo nostalgia per i giorni della nostra adolescenza sui banchi di scuola, forse alle prese coi primi amori e le prime delusioni. Ma, quando in chiesa cantiamo: «Il Signore è il mio pastore /sui pascoli erbosi mi fa riposare...», ci incontriamo con qualcosa che ormai ci appartiene, che è presente e che — come diceva Nietzsche — è la nostra patria spirituale, anche se viviamo poi in un mondo che è terra straniera rispetto alla Bibbia.
Ecco, la rubrica che ora inauguriamo vorrebbe aiutare tutti i lettori, quelli che hanno alle spalle una cultura e quelli che accostano con semplicità le Sacre Scritture, a riscoprire “il bello della Bibbia”. Essa, infatti, non si accontenta di dire Dio in modo vero, ma anche in modo bello, luminoso, fragrante. Proviamo a fare un esempio minimo, tratto dai Salmi che — non dimentichiamolo — non sono solo preghiere, sono anche poesie. Con la traduzione ufficiale usata dalla liturgia noi preghiamo così: «Gustate e vedete quanto è buono il Signore!» (Salmo 34,9).
Ma se proviamo a scoprire la freschezza dell’originale, ci accorgiamo che il salmista usa due verbi che esprimono due sensazioni differenti.
C’è innanzitutto il verbo del gusto, cioè del sapore, della dolcezza che avverte il palato, e c’è poi il verbo della contemplazione con gli occhi che scoprono lo bellezza. Ebbene, quando siamo davanti a Dio, cosa proviamo? Ecco l’aggettivo ebraico t6b, tradotto con “buono”. In realtà, questo vocabolo — che risuona nell’Antico Testamento 741 volte — ha un significato molto più ricco perché vuoI dire “bello, soave, affascinante, utile...”.
A questo punto riusciamo a comprendere quanto più “bello” sia l’invito dell’antico poeta ebreo rispetto alla prima e un po’ piatto traduzione. Egli ci spinge ad “assaporare” Dio: «Gustate quanto è soave il Signore!». Ma anche ci dice: «Ammirate quanto è bello il Signore!». Il tutto in tre parole ebraiche. Cerchiamo, allora, di ritrovare lo splendore letterario della Bibbia per credere e cantare Dio in modo più gioioso e bello, più fresco e intenso.
Ma c’è qualcos’altro da dire.
Lo annunciamo ora con una frase del famoso pittore Marc Chogall, frase che spiegheremo nella prossima puntata del nostro viaggio nel bello della Bibbia: «Le Sacre Scritture sono l’alfabeto colorato della speranza in cui per secoli i pittori hanno intinto il loro pennello».