ALL'INIZIO LA PAROLA CREATRICE


Jehi ‘or... Wajjehi ‘or, «Sia la luce!... E la luce fu». La scorsa settimana ci siamo fermati su queste quattro parole ebraiche del libro della Genesi (1,3) per mostrarne la forza e la bellezza, nonostante l’estrema povertà. Non sono, infatti, parole semplici ed essenziali? Tra l’altro, nell’originale, sono formulate in una lingua marginale, una lingua di pastori, grezza come le pietre del deserto, scarna e scabra: si pensi che l’ebraico biblico ha solo 5.750 parole contro le 150.000 dell’italiano e le forse 500.000 dell’inglese!
Eppure — dicevamo — queste parole hanno provocato e alimentato per secoli la fede e la cultura dell’Occidente. Noi non tentiamo neppure di inseguire tutte le raffigurazioni artistiche della creazione che l’umanità ha elaborato sulla base di quella piccola frase o del capitolo 1 della Genesi. Né vogliamo ricorrere alla musica come abbiamo fatto la volta scorsa con La creazione di Haydn (ma potremmo continuare passando attraverso Wagner, Schònberg, Stravinskij, Stockhausen per giungere — perché no? — anche alla Genesidi Franco Battiato...).
Noi, invece, ricorreremo a un parallelo biblico di grande bellezza. E quel gioiello in assoluto che è l’inno (o prologo) che apre il Vangelo di Giovanni. Anche là ci imbottiamo in uno frase apparentemente povera che in greco suona così: En archè en o Logos, «In principio era la parola (o il Verbo)». Per scoprirne il significato profondo uno dei maggiori poeti di tutti i tempi, Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) nel suo capolavoro, il Faust, dedicherà a quel versetto una ricerca poetica altissima.
Owiamente egli uso il tedesco e io vorrei ora tentare di proporre quella ricerca anche ai molti lettori che di quella lingua hanno solo un certo terrore per ragioni storiche o linguistiche. Come tradurre quel vocabolo greco Logos? La prima resa è scontata: è das Wort, la parola, realtà fragile eppure potente (pensiamo solo all’efficacia di una parolo offensiva). C’è allora — continua il poeta tedesco — un altro valore: Logosè anche die Kraft, “la potenza” divina che crea, che giudica, che salva. Non è forse vero che nel libro della Sapienza si legge: «Mentre un profondo silenzio awolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo corso, la tua onnipotente Parola dal cielo, dal tuo trono regale, si slanciò sulla terra come guerriero implacabile»(18,14-15)
Ma il Logos, osserva Goethe, è anche la rivelazione del Creatore, del progetto che Dio ha in mente, del nostro destino ultimo: perché, allora, non tradurre anche der Sirin, cioè la Parola è “il senso, il significato” ultimo delle cose? Ma l’inno giovanneo continua così: «Tutto è stato fatto per mezzo di lui (del Logos) e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste)). E allora, perché non supporre che lo Parola sia anche die Tat, cioè “l’Atto” supremo, l’evento decisivo? Il poeta di Francoforte interpreta quest’ultima traduzione in senso diverso e negativo. Noi, invece, assumiamo questa resa e le altre tre come un intreccio stupendo di significati che rendono la forza e la bellezza di quella Parola risuonata «in principio».