L'INFANZIA SPIRITUALE


Lo scorso dicembre ho assistito anch’io alla Scala di Milano alla rappresentazione del Fidelio, l’unica opera scritta da Beethoven, un canto della libertà e dell’amore coniugale (come dice anche il titolo). Ebbene, nel testo ci sono alcune parole che suggellano la storia complessa e drammatica con un invito alla fiducia: «Siate in pace: qualsiasi cosa vediate o ascoltiate, non dimenticate mai che la Provvidenza veglia su di noi». Le tempeste della vita non devono incrinare la nostra certezza di non cadere mai fuori dalle mani di Dio, precipitando nel baratro del nulla o dell’assurdo.
Questa sensazione di fiducia, che è alla radice della fede, è espressa in modo “bello”, intenso e poetico dalla Bibbia. Pensiamo solo alle parole tenere e delicate che Gesù pronuncia nel Discorso della Montagna: invito i miei lettori a prendere in mano il Vangelo di Matteo, al capitolo 7,01 versetti 25-34 e a sottolineare tutte le ripetizioni dell’appello a “non affannarsi” (nell’originale greco sono sei; non cosi, purtroppo, nella traduzione che cambia verbo in due casi).
Lo sguardo di Gesù si posa con molta poesia sui voli degli uccelli nel cielo, si china sui gigli del campo e sull’erba dei prati, vedendo in essi la ma-
no del Padre che nutre e sostiene le sue creature. Già nel Salmo 147,9 si diceva: «Dio provvede cibo al bestiame, ai piccoli del corvo che gridano a lui». Ebbene, uno dei canti più belli e dolci della fiducia è una piccola composizione ebraica, il Salmo 131, che vorremmo ora offrire in una versione che sia vicina all’originale e ne sveli la fragranza. «Signore, non si esalta il mio cuore, / non si levano superbi i miei occhi, / non cammino verso cose grandi o per me prodigiose. / lo, invece, ho l’anima distesa e tranquilla: / come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, / come un bimbo svezzato è l’anima mia. / Israele, spera nel Signore, ora e sempre!». L’immagine centrale è quella materna e il Salmo divento il canto di una fiducia spontanea e assoluta, quasi istintiva, simile appunto all’aggrapparsi affettuoso e sereno del bambino alla madre che è la sua sicurezza e la sua pace.
Non si tratta, però, come molti pensano, del bambino appena allattato: il termine ebraico usato per indicare il piccolo è quello del bimbo svezzato e probabilmente portato sulle spalle della madre, alla maniera orientale. Si ha, allora, un’intimità più cosciente, il rapporto è fatto anche di parole, le prime, non si ha solo un legame biologico. Questa infanzia spirituale era già intuito dall’antico Egitto. In un’epigrafe in onore del dio solare Amon si legge:
«Due volte felice colui che riposa beatamente sul braccio del dio solare Amon, che ha cura del piccolo e del povero!».
Un’infanzia esaltata da Gesù («Se non diventerete piccoli come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli!»), da Teresa di Lisieux, dallo scrittore francese Bernanos che diceva a un amico: «Ho perso l’infanzia ed è solo con la santità che posso ritrovarla». Un particolare da notare. In apertura il salmista oppone
al picco rupestre dell’orgoglioso che sfida i cieli, la pianura dell’umile che ha l’anima “distesa” (in ebraico si ha letteralmente pianeggiante”) Un’altra bella immagine di contrasto per celebrare la fiducia serena.