LE VOCI DEI PROFETI


«E' la tua voce, sono le tue voci,Isaia, quelle che odo, / con le altre voci senza confonderla: / quella di Geremia come fitta grandine sulle tegole, / quella di Abacuc come impeto, / spruzzate da onde che irrompono ossaltando rocce, / quella di Daniele, ronzio d’api / e ruggito di leoni, Daniele il cantastorie. / Ben distinta è la tuo, Isaia, / complessa, congiante, limpida, rauca...». A celebrare con la voce (anzi “le voci” perché in quel libro biblico sono presenti almeno tre profeti diversi) di lsaia è un poeta spagnolo, Gerordo Diego (1896-1987), fondatore di un movimento detto “l’ultroismo”, affine al surrealismo e al futurismo.
In questi versi egli fa scorrere davanti ai nostri occhi i volti di alcuni profeti con le loro caratteristiche letterarie e umane: Geremia tempestoso, Abacuc veemente, Daniele narratore. Ma la sua cdtenzione si fissa su lsaia al quale riservo poi un intero carme. Considerato «il Dante della letteratura ebraica» (L. Alonso Schokel), questo profeta, vissuto nell’VIlI secolo a.C., ci ha lasciato pagine memorabili come i conti dell’Emmanuele (cc. 7-12). Noi vorremmo, però, accontentorci solo di mostrare una particolare caratteristica della poesia ebraica, quella della sua “sonorità”, proprio ricorrendo o un versetto di lsaia.
Non dimentichiamo, infatti, che spesso le antiche civiltà orientali sono nate come orali: le pagine su cui si deponevano le parole non erano fatte di pergamena o papiri ma erano quelle vive della memoria. E per questo, allora, che si giocava molto sulle assonanze, sulle ripetizioni, sui ritmi per favorire l’apprendimento memonico. Facciamo un esempio con l’ebraico di lsaia: non abbiano paura i nostri lettori, perché sarà facile capire ciò che intendiamo dimostrare, se ripeteranno a voce alta il testo isaiano (d’altronde la lettura silenziosa è un’”invenzione” piuttosto recente).
In uno stupendo canto della vigna che non dà frutto, simbolo di Israele, il profeta mostra la delusione di Dio, che è simile al contadino che cerca grappoli turgidi e invece scopre uva ancora verde. Se leggiamo la traduzione solita abbiamo: «Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue; / attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi» (5,7). Il senso è chiaro. Ma lsaia aveva voluto rendere la delusione di Dio che va a cercare uva dolce e trova uva acida, scegliendo vocaboli dal suono affine — come identica è l’uva — ma ben diversi per contenuto, come lo sono i grappoli maturi e acerbi.
Vediamo, allora, l’ebraico: «Il Signore si aspettava sedaqah, cioè giustizia, ed ecco invece se 'aqah, cioè grido di schiavi». E ancora: «Si aspettava mishpat, cioè il diritto, ed ecco invece mispah, cioè lo spargimento di sangue». Le parole sembrano uguali: sedaqah/se’aqoh-. mishpat/mispah ma quale differenza e quale delusione per Dio! La lezione è affidata a poche parole che si possono imparare a memoria e che si trasformano in un esame di coscienza. Un traduttore italiano della Bibbia, F. Nardoni, ha tentato di ripetere questo gioco di parole, anche se i vocaboli non corrispondono pienamente all’originale: «Il Signore si attendeva giustizia ed ecco nequizia; si attendeva il diritto ed ecco il delitto.