«LA GIOIA DI DIO»


Chi ci segue con costanza si sarà accorto che in questo periodo quaresimale ci siamo affidati più volte alla parabola del figlio prodigo, narrata da Gesù nel Vangelo di Luca (15,11-32). La fragranza di questo racconto ha fatto sì che divenisse oggetto di tante riprese, riletture, interpretazioni da parte di scrittori, pittori; musicisti. Il bello della Bibbia diventa sorgente di arte, di pensiero, di spiritualità. Anche una forma artistica recente come la cinematografia ha attinto a questa parabola col Figliol prodigo di Ferdinand Zecca (1901) e con quello di Marce! Carné (1907), con The Wandererdi RaulWalsh (1925), con il Figliuol prodigo di Richard Thorpe (1955).
Ora, però, noi vorremmo andare a cercare nella musica: essa ha rivestito le parole e le scene del testo lucano con l’armonia dei suoni, a partire dall’oratorio Filius prodigus di Marc-Antoine Charpentier(1680) per passare all’opera omonima di Daniel Auber (1850), a una cantata di Claude Debussy (1884)e al “mistero” sacro di Benjamin Britten (1968). Ci fermeremo brevemente su una curiosa trasformazione della parabola in balletto, intitolato appunto Il figliuol prodigo, con la musica del famoso compositore Sergej S. Prokof’ev(1891-1953).
Questo balletto in tre quadri fu rappresentato per la prima volta al teatro Sarah Bernhardt di Parigi il 20 maggio 1929 col Balletto Russo di Diaghilev, con la coreografia del grande G. Balanchine e con le scene e i costumi disegnati da un pittore del calibro di G. Rouault. Ecco, però, la trama. Il figlio ha una discussione col padre e decide di partire con due falsi amici. Giunto in un’altra città, incontra alcuni conoscenti
che lo invitano a un festino. Là una danzatrice cerca di sedurlo, mentre i due amici si immergono nella festa. Il figlio è spinto a bere oltre misura e, così, piomba in uno stato di torpore. I falsi amici ne approfittano per depredario di tutti i suoi averi. All’amaro risveglio, spente le luci della festa, ridotto ormai in miseria, il giovane decide di rimettersi sulla strada di casa, sia pure con apprensione. Un’apprensione che sarà dissolta dall’abbraccio del padre. La rilettura della parabola è semplice e un po’ scontata, anche se affidata a una musica vivace e incisiva, capace di rendere i mutamenti interiori ed esteriori con brusche modulazioni di suoni e repentine impennate.
Rimane, comunque, vivo il fascino del testo originario del Vangelo che è, sì, segnato dal peccato ma che è tutto percorso dalla gioia del perdono e del ritrovamento, a partire dalle parabole gemelle della pecora e della dramma smarrita che precedono quella del figlio prodigo. A questo proposito invitiamo i lettori a fare un esercizio: prendano il Vangelo di Luca, al capitolo 15 e leggano di seguito i versetti 5,6,7,9, 10,23 e 32 e capiranno quanto sia luminoso il fondale di questa parabola dell’amore paterno di Dio. Non per nulla un teologo tedesco, Helmut Gollwitzer, aveva intitolato un suo commento al Vangelo di Luca così: Die Freude Goties, «La gioia di Dio». Luca, infatti, usa ben cinque verbi greci diversi per esprimere la gioia che Gesù ha portato nel mondo.