I VOLTI DEL CRISTO


Agli inizi della tradizione artistica cristiana si fu incerti sul raffigurare Cristo con un aspetto brutto - per renderlo vicino agli ultimi e ai sofferenti - o con un profilo affascinante, per far risplendere la perfezione della sua umanità. I Vangeli non ci dicono nulla sulla sua fisionomia esteriore. Molto, invece, sappiamo dei suoi atti e delle sue parole ed è questa la vera bellezza che ha catturato l’umanità. In questa luce si devono leggere le parole che il grande scrittore russo Fiodor Dostoevskij scriveva alla nipote Sonia in una lettera del gennaio 1868: «Tutti gli scrittori che hanno pensato di raffigurare un uomo positivamente bello si sono sempre dati per vinti. Poiché si tratta di un compito sconfinato. Il bello, infatti, è l’ideale. Al mondo c’è una persona sola positivamente bella: Cristo. L’apparizione di questa persona sconfinatamente, infinitamente bella è già un miracolo infinito». E nei Demoni, ancor più provocatorio, il romanziere russo farà di Gesù anche il segno della verità assoluta: «Se mai si dimostrasse matematicamente che la verità è fuori di Cristo, io starei dalla parte di Cristo!».
Certo è che sempre sono state vere le parole lapidarie pronunziate dal vecchio Simeone mentre stringeva tra le sue braccia Gesù neonato: «Egli è segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Luca 2,34-35). Così il filosofo anticristiano tedesco Friedrich W.Nietzsche, che aveva considerato Cristo l’unico cristiano della storia, finito però in croce, nella sua opera Così parlò Zarathustra (1883-85) reagirà in questa maniera: «È morto troppo presto: avrebbe ritrattato lui stesso la sua dottrina, se fosse giunto alla mia età». Eppure anche Nietzsche non poteva prescindere da quella figura di «ebreo pieno di lacrime e di malinconia», come lo definiva al punto tale da intitolare un suo libro L’Anticristo!
È la stessa confessione che farà in piena rivoluzione sovietica (1918) un conterraneo di Dostoevskij, il poeta Alexander Biok (1880-1921) che, al termine dell’opera I Dodici, confessava: «Quando l’ebbi finita, mi meravigliai io stesso: perché mai Cristo? Davvero Cristo? Ma più il mio esame era attento, più distintamente vedevo Cristo. Annotai allora sul diario: Purtroppo Cristo! Purtroppo proprio Cristo!». Una figura imprescindibile, quindi, e “inevitabile” come lo sono le 64.327 parole greche di quei quattro libretti, i Vangeli.
A proposito delle parole di Gesù, della loro bellezza e forza è suggestivo quello che scrisse un altro scrittore ateo, il francese André Gide (1869-1951), che ebbe un rapporto tormentato con Cristo. Confessava nella sua opera Numquid et tu? (1922): «Penso che non si tratti di credere alle parole del Cristo perché il Cristo è figlio di Dio, quanto di comprendere che egli è figlio di Dio perché la sua parola è divina e infinitamente più alta di tutto ciò che l’arte e lasaggezza degli uomini possono proporci. Signore, non perché mi sia stato detto che tu eri il figlio di Dio ascolto la tua parola; ma la tua parola è bella al di sopra di ogni parola umana, e da questo io riconosco che sei il figlio di Dio».