EVANGELISTA E PITTORE


Roger Van der Weyden è stato un importante pittore fiammingo del Quattrocento. Soggiornò a lungo in Italia, a Roma, a Ferrara e a Firenze: in quest’ultima città è conservata agli Uffizi una sua Sepoltura di Cristo. Ora, in una sua tela, datata attorno al 1440 ed esposta al Museum of Fine Arts di Boston, egli immagina l’evangelista Luca all’interno di un’architettura solenne mentre ha davanti in posa, quasi fosse una modella, Maria col piccolo Gesù.
Al termine del mese tradizionalmente dedicato a Maria ritorniamo su questa figura in modo indiretto, proprio come ci suggerisce il pittore fiammingo. Fissiamo cioè lo sguardo sull’evangelista che ha introdotto più spesso in scena la madre di Gesù, cioè Luca. Di lui sappiamo che era medico, secondo quanto dice Paolo scrivendo ai Colossesi (4,14). La tradizione popolare gli ha attribuito un’altra professione, quella di pittore, e ha fatto uscire dal suo pennello molte di quelle “Madonne nere”, venerate in vari santuari mariani, in realtà posteriori di secoli all’evangelista (pensiamo a Bologna, a S. Maria Maggiore a Roma, a Czestochowa in Polonia).
A essere più oggettivi, dovremmo dire che i suoi dipinti più belli Luca li ha lasciati nel suo Vangelo, tracciandoli con le 19.404 parole greche che lo rendono il più lungo dei quattro vangeli. Il suo è il testo più raffinato: l’evangelista i suoi quadri più belli li ha dipinti non col pennello ma con la sua penna. Egli sa. impastare e impostare le sue fonti in modo originale, usando un linguaggio che è quello della cultura greca medio-alta e che ha il suo picco nel prologo di stile elevato che apre il vangelo (1,1-4).
Luca guarda al mondo greco-romano come a un interlocutore a cui presentare un volto molto vivo di Gesù, intimamente collegato alla storia dell’uomo e al suo travaglio. È. stato detto che il Cristo di Luca è ritratto partendo dai piedi impolverati, mentre egli cammina verso Gerusalemme, curvandosi sui sofferenti e sugli ultimi della terra. Il Gesù di Luca può essere compreso tenendo presente una suggestiva preghiera che il filosofo dell’Ottocento Soeren Kierkegaard ha lasciato nel suo diario: «Gesù, ci sia concesso di diventare tuoi contemporanei, di vederti come e dove sei passato sulla terra e non nella deformazione di un vuoto ricordo».
Sono molte le pagine “belle” di Luca, capace di presentarci un volto di Gesù con alcuni tratti originali, come quelli della tenerezza e della misericordia. Non per nulla Dante, in una sua opera minore latina, Monarchia, ha coniato questa suggestiva definizione di Luca: «scriba mansuetudinis Christi», cioè scrittore della mansuetudine, dell’amore di Cristo. Tempo fa noi abbiamo già avuto occasione di presentare una delle parabole specifiche del terzo evangelista, quella del figlio prodigo e abbiamo visto non solo come essa sia la celebrazione del Padre divino prodigo d’amore ma anche come sia un testo di straordinaria bellezza che ha conquistato scrittori credenti e indifferenti o atei.
In futuro ritorneremo su qualche altra pagina lucana, segnata dall’amore misericordioso e dalla bellezza: pensiamo alla parabola del Buon Samaritano raccontata solo da Luca o a quelle del miserabile Lazzaro e del ricco che banchetta, indifferente a quel povero, o all’ultimo atto di Gesù crocifisso che perdona e accoglie con sé nel suo Regno il malfattore pentito.