VERSO LA CITTA' CELESTE


Questa domenica celebriamo l’ascensione del Cristo risorto al cielo, descritta da Luca nelle sue due opere, il Vangelo (24,50-51) e gli Atti degli Apostoli (1,9.11). Entrambi i testi sono stati ripresi e “commentati” dalla splendida musica di Johann Sebastian Bach nell’oratorio Die Himmelfahrt (BWV 11), eseguito per la prima volta a Lipsia il 19 maggio 1735 e suggellato da un mirabile corale che intreccia in osmosi il dolore della separazione e la gioia della gloria. Tra parentesi ricordiamo che anche il secondo figlio di Bach, Cari Phiipp Emanuel, compose un suo oratorio sullo stesso tema (1774): il suo autore, piuttosto immodestamente, lo considerava «un capolavoro dal quale i giovani compositori avrebbero qualcosa da apprendere». Anche il famoso musicista più vicino a noi, il francese Olivier Messiaen, nel 1933 comporrà una bella meditazione sinfonica intitolata Ascensione.
Ma ritorniamo alla scena lucana che non è da intendere in senso meramente “astronautico”: il cielo, infatti, è in tutte le culture il segno del divino e del trascendente. Con la risurrezione Gesù di Nazaret — che, come uomo, era inserito nell’orizzonte spaziale e temporale — ritorna nella pienezza della sua gloria divina, velata dalla sua carne umana, e svela la sua eternità, infinità e divinità. Cristo, dunque, ritorna nella “città celeste” da cui era venuto con l’Incarnazione e con sé porta l’umanità redenta dal suo ingresso nel mondo, strappata alla caducità dei tempo e del limite, del male del peccato.
È per questo che nel suo Sermone per l’Ascensione S. Agostino dichiarava: «La risurrezione del Signore è la nostra speranza; l’ascensione del Signore è la nostra glorificazione». La fantasia dei cristiani si è, però, spesso fermata solo all’immagine esteriore dell’ascesa celeste, tra l’altro già evocata nell’Antico Testamento per il giusto Enoc (Genesi 5,22) e per il profeta Elia (2 Re 2), entrambi assunti o rapiti in cielo, simbolo della loro immortalità beata in comunione con quel Dio che avevano servito e amato sulla terra. Così sarà per Maria con la sua assunzione e così sarà per tutti i giusti: «Saremo rapiti tra le nubi per andare incontro al Signore nell’aria e così saremo sempre coi Signore» (1 Tessalonicesi 4,17).
Sul monte degli Ulivi, il luogo ove Luca ambienta l’ascensione, i bizantini prima e i crociati poi erigeranno un tempietto senza cupola (quella che c’è ora è stata “imposta” all’edificio in seguito dai musulmani) e fantasiosamente i pellegrini vedranno su una roccia le impronte dei piedi di Gesù nello slancio dell’ascesa verso l’alto. Il pittore Mantegna, alla fine del ‘400, creerà uno stupendo trittico conservato negli Uffizi di Firenze: Cristo, avvolto in una mandorla di angeli, è sospeso in un cielo trasparente costellato di nuvolette, mentre tra le rupi del monte degli Ulivi si stringe il cerchio di Maria e degli apostoli con il volto all’insù. Anche un poeta estraneo a temi religiosi come il francese Guillaume Apollinaire nella poesia Zona (1913) si lascerà catturare da questa scena e scriverà: «I diavoli degli abissi levano il capo per guardarlo... / Gli angeli volteggiano attorno al grazioso Volteggiatore»!