IL"VOLTO DEI VOLTI"


Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li « portò su un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche». Ascolteremo queste parole del Vangelo di Marco (9,2-3) nella celebrazione domenicale della Trasfigurazione (6 agosto). La scena che la tradizione ha ambientato sulla vetta suggestiva del Monte Tabor, un colle di 588 metri che domina la pianura di Galilea, è tutta irradiata di fulgore e l’evangelista Marco — secondo il suo stile, che abbiamo già avuto occasione di illustrare — la ritrae in modo pittoresco.
Il volto e la persona di Cristo sono circonfusi di gloria e di luce, segni divini: si ha, dunque, una specie di anticipazione della Pasqua e un’esaltazione del Risorto che ascende al cielo. Ecco, oggi vorremmo interrogarci su un aspetto a prima vista marginale: i Vangeli ci dicono qualcosa sull’aspetto fisico di Gesù? Era bello o comune, alto o basso, i capelli che colore avevano, e gli occhi...? Dobbiamo subito spazzar via queste pur legittime curiosità. Non un rigo i Vangeli ci hanno lasciato sul profilo di Gesù di Nazaret, neppure il “pittore” Luca. Nel III secolo i Padri della Chiesa hanno infranto questo silenzio visivo e hanno immaginato un viso sgraziato per Cristo sulla base di un celebre passo messianico isaiano, nel cosiddetto quarto canto del Servo del Signore: «Non ha apparenza né bellezza per attrarre il nostro sguardo, non splendore per poterne godere» (Isaia 53,2). Lapidario era stato Origene: «Gesù era piccolo, sgraziato, simile a un uomo da nulla».
All’antipodo, l’immaginario popolare e altri Padri della Chiesa a partire dal IV secolo, sull’influsso dell’ideale greco-romano, proporranno un Gesù avvenente, incarnazione di un altro passo messianico dell’Antico Testamento, il carme nuziale regale del Salmo 45: «Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo» (v. 5). E nonostante sant’Agostino ripetesse che «noi ignoriamo totalmente quale fosse il suo volto», fu questa l’immagine vincente, ribadita in mille e mille ritratti stupendi ma anche in una pletora di stucchevoli e retoriche oleografie.
Basterebbe evocare quella lettera apocrifa, creata nel Medioevo e attribuita a un proconsole romano realmente esistito e contemporaneo di Gesù, Gneo Cornelio Lentulo, che dipingeva un Cristo simile a Rodolfo Valentino ante litteram: «Statura alta, ben proporzionato, capelli dal colore delle noci di Sorrento mature, dritti fino alle orecchie, increspati in giù con ricci chiari e lucenti, ondeggianti sulle spalle. Fronte liscia e serena, viso senza rughe o macchie, abbellito da un tenue rossore, naso e bocca perfetti... Occhi azzurri, vivaci, brillanti. Barba abbondante e bipartita, dello stesso colore dei capelli. Mani e braccia graziose alla vista... Chi lo guarda non può non amarlo e temerlo».
In realtà Gesù era forse simile a uno dei tanti ebrei di allora, fratello di tanti uomini della storia. La sua bellezza era, infatti, nella sua parola, nelle sue opere, nel mistero della sua persona. Come diceva lo scrittore Alfredo Oriani (1852-1909): «Credenti o increduli, nessuno sa sottrarsi all’incanto di quella figura».