LA STORIA DI GIUSEPPE


Qualche mese fa la collana dei “Meridiani” di Mondadori ha offerto in due volumi la tetralogia monumentale di Giuseppe e i suoi fratelli, una serie di quattro romanzi fluviali che il celebre Thomas Mann, scrittore tedesco, nato a Lubecca nel 1875 e morto neI 1955 presso Zurigo, pubblicò tra il 1933 e il 1943. La sua è una particolare “esegesi” segnata da interessi filosofico-simbolici: il personaggio biblico diventa l’emblema non solo di Israele ma anche dell’umanità che passa dal mito primordiale alla nascita della personalità, dell’individuo e della coscienza.
Non vogliamo ora entrare nel merito di questi romanzi che, nell’edizione originale, occupano ben 70.000 righe di testo e che costituiscono un’avventura dello spirito dell’uomo del ‘900. Vorremmo, invece, spingere il nostro lettore a ritrovare il gusto delle deliziose pagine bibliche che hanno generato la ripresa di Mann e di altri artisti: pensiamo agli stessi Fratelli Karamazov (1880) di Dostoevskij, che rimandano alla storia di Giuseppe, al Mistero dei Ss. Innocenti (1912) del poeta francese Charles Péguy, e prima al Giuseppe riconosciuto (1733) del nostro Pietro Metastasio, all’oratorio musicale Giuseppe e i suoi fratelli (1959) di Erich Sternberg, ai molteplici dipinti dedicati ad alcune vicende dell’eroe biblico, tra le quali domina il tentativo di adescamento di Giuseppe da parte di una nobildonna egiziana, moglie di Potifar (ricordiamo Tintoretto al Prado di Madrid o Rembrandt nella National Gallery di Washington).
I capitoli 37-50 costituiscono nella Genesi un racconto a sé stante, un vero e proprio gioiello narrativo autonomo che ha la funzione di raccordare la storia dei patriarchi (Abramo, Isacco, Giacobbe) con la successiva storia dell’esodo d’Israele dall’Egitto. Colma di colpi di scena, dotata di una raffinata penetrazione psicologica dei personaggi, affidata a un sapiente montaggio delle scene, la narrazione è «una festa dell’immaginazione», come scriveva un autore ebreo contemporaneo, Elie Wiesel, nella sua opera Celebrazione biblica (1975).
Significativa in queste pagine coloratissime e vivaci è l’assenza delle teofanie, cioè delle apparizioni di Dio, come accadeva per i racconti degli altri patriarchi. Il Signore non irrompe più in modo clamoroso nella storia con la sua azione di salvezza o di giudizio, ma opera segretamente nelle vicende umane, traendo anche dal male un esito benefico, come riconosce lo stesso protagonista al termine della sua vita e della storia, rivolgendosi ai suoi fratelli così: «Se voi avevate pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera:far vivere un popolo numeroso» (Genesi 50,20). È, quindi, il canto della Provvidenza divina.