I QUATTRO CAVALIERI


Un mese fa, celebrando l’Assunzione di Maria, abbiamo evocato la pagina dell’Apocalisse che si leggeva proprio nella liturgia di quel giorno, il capitolo 12, con la celebre raffigurazione della «donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle». Come avevamo promesso, ritorniamo su quest’opera biblica che ha da sempre esercitato un grande fascino e un altrettanto intenso terrore. Negli scorsi mesi mi sono dedicato — attraverso la pubblicazione di un commento all’Apocalisse (edizioni Piemme) e attraverso la lettura continuata e spiegata del testo sacro nel programma televisivo Le frontiere dello spirito (Canale 5) con la collaborazione dell’attrice Mariangela Melato — a schiodare dalla mente dei lettori-ascoltatori l’idea che l’Apocalisse sia un libro funesto di sciagure e di tragedie da “fine del mondo”.
In realtà il libro è un”apocalisse”, in greco “rivelazione” del senso ultimo della storia tormentata che viviamo, il cui fine è rappresentato dalla Gerusalemme nuova, segno di pace, di gioia e di comunione con Dio. Questo, però, non toglie che la storia sia striata di sangue, di miseria, di vergogne e dominata da mostri come il Drago, la Bestia, la Prostituta e Babilonia, simboli trasparenti del male. Noi ora vorremmo rimandare, per illustrare questo tema, a una pagina possente e tragica, quella dei quattro cavalieri (6,1-8).
Il primo cavallo che irrompe in scena è bianco ed è cavalcato da un arciere. Per alcuni sarebbe un segno positivo, essendo il bianco il simbolo della gloria divina e della luce e quindi potrebbe essere identificato col Cristo risorto e vittorioso. Per altri l’arciere incarnerebbe, invece, il potere militare che non è mai sazio di vittorie sanguinarie («partì come vincitore per vincere ancora»). Dietro a lui avanza un cavallo rosso, evidente raffigurazione dello spargimento di sangue. Muore la pace, trionfa la violenza: il massacro colpisce tutto il nostro pianeta ove ci si «sgozza a vicenda».
Ecco, poi, il terzo cavallo: è nero e simboleggia la morte per fame. I viveri rincarano, olio e vino si fanno scarsi: la bilancia che il suo cavaliere regge in mano indica, infatti, misure sempre più esigue, cioè la fine dei mercati abbondanti con ampia offerta di derrate alimentari. È il dramma che perdura ai nostri giorni con un terzo mondo miserabile, indebitato, denutrito di fronte a un Occidente opulento ed egoista.
Infine, ecco il quarto cavallo di colore verdastro o cianotico: è il colore del cadavere in decomposizione. L’ultimo cavaliere è dunque la Morte, e come non pensare alla celebre incisione di Albrecht Durer (1471-1528) che ha offerto, in tempi vicini a noi, il soggetto e il titolo del romanzo Il Cavaliere e la morte (1989) di Leonardo Sciascia? Purtroppo guerra, violenza, fame e morte corrono ancor oggi come lugubri cavalieri per le strade del mondo seminando il loro carico di sofferenza e di angoscia.