UN INNO ALL'AMORE


Come avevamo promesso, riprendiamo in manò quel delizioso poemetto che è il Cantico dei Cantici per chiederci: che significato ha questo libretto di poche pagine? Le risposte dei lettori nella storia sono state molteplici e disparate: inno all’amore umano, celebrazione dell’amore nuziale tra Dio e Israele, canto dell’eros e dell’innamoramento, sciarada spirituale densa di crittogrammi da decifrare, spartito di un rituale liturgico, copione di dramma pastorale o sacro e altro ancora. Forse aveva ragione un antico commentatore rabbinico, Saadia ben Josef, il quale comparava il Cantico a una serratura di cui si è persa la chiave.
Agli estremi ci sono due interpretazioni antitetiche. La prima è quella di chi legge il poema biblico come una variante della poesia erotica orientale. Lo studioso francese Renan, ad esempio, associava il Cantico a Qohelet per affermare che essi sono rispettivamente «un libretto erotico e un opuscolo di Voltaire nascosti tra le grandi pagine di una biblioteca di teologia». A tale concezione “letterale” nel senso più rigido del termine, si era opposta l’interpretazione allegorico-spirituale, trionfante nel giudaismo e nell’esegesi cristiana antica, che con passione intravedeva nel Cantico la celebrazione della relazione tra Dio e Israele, tra Dio e la Chiesa, tra Cristo e l’anima, tra lo Spirito Santo e Maria. Il testo, apparentemente erotico, diveniva un cifrario segreto che conteneva ben altri amori e ben altri personaggi, non più carnali ma spirituali.
Così il bellissimo detto della donna in Cantico 1,13 - «il mio amato è per me un sacchetto di mirra che pernotta tra i miei seni»- con l’immagine orientale della teca di mirra che “pernotta” e quindi dimora tra le braccia della donna, rappresentazione dell’abbandono tenero e profumato dei due innamorati nell’abbraccio d’amore, evocazione di un rifugio sereno simile a un giardino di delizie, diventa nell’interpretazione allegorica, cioè libera spirituale, una descrizione dello studio notturno del fedele che legge i “due seni” dell’Antico e del Nuovo Testamento. In realtà noi dobbiamo cercare di tenere uniti entrambi i significati, quello dell’amore umano e quello simbolico dell’amore trascendente. Il Cantico parte, dunque, dall’eros, dall’amore di coppia nella sua pienezza anche carnale, ma coinvolge molteplici iridescenze e va oltre. L’amore umano pieno, dove corporeità ed eros sono in comunione, senza svaporare in sigla spirituale, giunge di sua natura a dire il mistero dell’amore che tende all’infinito e può raggiungere il mistero divino. Persino Guido Ceronetti, nella sua discutibile e un po’ affannata interpretazione erotica del Cantico (ed. Adelphi), deve riconoscere che «la lettura erotica non ha senso se il letto degli amori non è rischiarato da una piccola lampada che rischiari, attraverso quei trasparenti amori, il Nascosto».
Inno molteplice e variegato dell’amore, il Cantico celebra umanità, passione ed eros, ma anche la capacità dell’amore umano di essere segno di infinito, di pienezza, di totalità. Piantato nella terra, l’amore umano autentico fiorisce e si ramifica nei cieli. Dove uomo e donna si amano in modo vero e completo, là appare il mistero dell’Amore supremo divino. Guai, però, a spezzare il simbolo: avremmo solo corpi avvinghiati o angeli danzanti e non all’armonia tra corpo e spinto nell’agape, l’Amore pieno e perfetto.