IL MISTERO DEL MALE


Non ci rassegniamo a lasciar andar via Giobbe dalla nostra piccola ribalta sulla quale l’abbiamo convocato già due volte. La nostra speranza è che i lettori si lascino tentare dal seguire questo grande sofferente lungo il suo itinerario spirituale, descritto in pagine poetiche di straordinaria bellezza, fragranza e potenza. Hanno fatto così tante persone nei secoli e non si trattava solo di credenti. Pensiamo, ad esempio, al Faust di Goethe coi due prologhi in cielo e in terra, così come si ha nei capitoli 1-2 di Giobbe.
Pensiamo alla discussione tra Ivan l’incredulo e il fratello monaco Alioscia sul mistero del male nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij oppure alla Peste, il famoso romanzo di Albert Camus che si muove sullo stesso terreno di Giobbe ma con un esito ben diverso. Pensiamo alla Risposta di Giobbe di uno dei padri della psicanalisi, Jung, ove si tenta di capovolgere paradossalmente il senso del libro biblico: è Dio l'”immorale” che deve essere educato dal “morale” uomo Giobbe.
La vicenda biblica è la filigrana della «storia di un uomo semplice», il Giobbe di J. Roth (1930), un originale scrittore ebreo mitteleuropeo, e anche di un’opera a prima vista lontana come Il processo di Kafka. Il misterioso Moby Dick del romanzo di Melville (1851) è descritto proprio sulla base del Leviatano, il mostro “dipinto” nel capitolo 41 del libro di Giobbe. Anche il nostro Riccardo Bacchelli nel Coccio di terracotta ha ripreso la storia di Giobbe, cercando di immaginare la seconda vita del personaggio biblico, dopo la grande prova. La lista è immensa e potrebbe essere distribuita in tutti i secoli e in tutte le lingue.
Aveva ragione lo scrittore francese Lamartine quando affermava che «Giobbe non è la voce di un uomo, è la voce di un tempo. L’accento viene dal profondo dei secoli ed è il primo e l’ultimo vagito dell’anima, di ogni anima». Il fascino esercitato da quest’opera biblica è certamente spirituale: dalla sua lettura non si può uscire indenni e il volto di Dio brilla di una nuova luce. Ma c’è anche un fascino umano ed “estetico”.
Basterebbe solo fissarsi sullo splendore dei simboli che costellano ogni verso. Facciamo soltanto un esempio, ricorrendo proprio alla mostruosa raffigurazione del Leviatan a cui già abbiamo accennato (capitolo 41): col suo salto possente nei gorghi del mare trasforma l’oceano in una caldaia ribollente o in un vaso colmo di essenze e di misture, lancia verso l’alto schizzi e bolle di liquido e, con la sua scia, rende il mare simile alla canuta e sconvolta capigliatura di un vecchio. Eppure Dio «gioca con lui come un passero» che un uomo «lega per le sue bambine» (40,29).