IL CANTORE DEL MESSIA


Nel 1947 un giovane pastore beduino, Mohammed edDib, inseguendo una capra riottosa sulle rupi che si stagliano sulla costa occidentale del Mar Morto, scopriva in una grotta quelli che verranno chiamati i manoscritti di Qumran, dalla località del ritrovamento, sede di un’antica e autonoma comunità giudaica. Ebbene, tra i reperti di quella prima grotta (se ne scoprirono altre dieci con simili documenti) era venuto alla luce un rotolo formato da 17 pelli cucite insieme così da comporre una pergamena di 7 metri, alta 20 centimetri. In essa su 54 colonne di 29 righe ciascuna era scritto il testo del profeta Isaia in una copia del I secolo a.C.
Quel manoscritto ci offriva, perciò, la più antica testimonianza del profeta considerato dal giudaismo e soprattutto dal cristianesimo come il cantore della speranza messianica, in particolare per quei capitoli 7-12 del suo libro Il libro dell’Emmanuele. La scorsa settimana abbiamo già delineato l’interpretazione cristologica di quella figura: Matteo (1,23) considera l’Emmanuele un annunzio di Cristo. Se volessimo commentare con la musica questa lettura cristiana di Isaia (7,14), basterebbe ricorrere a quel gioiello che è l’oratorio Il Messia, composto nel 1741 dal musicista tedesco Georg Friederich Handel (1685-1759).
In quel testo musicale, dopo la citazione in recitativo della frase di Isaia-Matteo: «Ecco, una vergine concepirà e partorirà un figlio e lo chiamerà Emmanuele», si ha il rimando a un’altra pagina di Isaia, quella a cui ora vorremmo accennare. Si tratta dell’inno presente in Isaia 9,1-6. Esso si apre con una strofa di luce e di gioia: è come se fossimo davanti a una nuova creazione (la prima, infatti, è iniziata proprio con l’apparire della luce). «il popolo che camminava nelle tenebre vide una luce abbagliante; sugli abitanti della terra tenebrosa una luce brillò. Hai moltiplicato la gioia e aumentato la felicità. Davanti a te gioiscono come si gioisce nella mietitura e come si gioisce nella spartizione del bottino...».
Le strofe successive spiegano con immagini suggestive le tre ragioni di questa nuova gioia cosmica. La prima causa di felicità è nella liberazione dall’oppressione: i segni della schiavitù (giogo, sbarra, bastone) sono spezzati: «Tu hai infranto il giogo che incombeva e la sbarra sulle spalle e il bastone sull’aguzzino». La seconda causa di gioia è la pace, dipinta attraverso l’immagine di un rogo che annienta su una pira tutte le reliquie insanguinate della guerra: «Ogni calzatura militare abbandonata nella mischia e ogni mantello macchiato di sangue sarà consumato come esca del fuoco». Ma il vertice della felicità è nella terza motivazione che allude alla parola Emmanuele (“Dio-con noi”) ripetendo il pronome di prima persona plurale: «Un bambino è nato per noi, a noi un figlio è stato dato. Sulle sue spalle è imposto l’emblema regale e i suoi nomi saranno: Consigliere ammirabile, Potente come Dio, Padre per sempre, Principe della pace». Per la tradizione è questo il volto del Messia.