Giuseppe, l'uomo dei sogni


Se avete occasione di passare dalla città francese di Nantes, entrate nel locale Musée des Beaux-Arts e fermatevi davanti a un dipinto che Georges de la Tour eseguì attorno al 1640. Un Giuseppe vecchio, addormentatosi seduto con una Bibbia in mano, nella tenebra della notte vede profilarsi un angelo ragazzino senza ali, il cui volto è immerso nella luce ma il cui corpo immateriale non getta ombra sul futuro padre legale di Gesù. È questa la ripresa pittorica della scena dell’annunciazione a Giuseppe, descritta da Matteo nel suo Vangelo (1,18-25).

Sappiamo che, se Luca nei racconti della nascita e dell’infanzia di Cristo introduce come protagonista Maria, Matteo lascia lo spazio principale proprio a questo personaggio che diverrà popolarissimo nella tradizione cristiana ma che nei Vangeli è poco più di una meteora. Appare, infatti, in mezzo a sogni e visioni di angeli nei primi due capitoli di Matteo, a partire da quel giorno per lui drammatico, quando aveva scoperto che la sua fidanzata era incinta prima ancora che andassero a vivere insieme.
In Israele il fidanzamento era la prima parte dell’istituto matrimoniale e quindi Giuseppe doveva o esporre Maria a un’aspra condanna per adulterio (c’era di mezzo anche la possibilità della lapidazione) oppure ricorrere a una separazione senza un atto di ripudio ufficiale.

Ma è proprio quell’angelo a far balenare al discendente povero del re Davide la verità sconvolgente che noi ora proclamiamo nel Credo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (1,20). Da quel momento la vita di questo artigiano ebreo sarà sconvolta: la fuga in Egitto e il ritorno scandiscono una tensione che è lenita soltanto dalle visioni angeliche che sono il segno della presenza divina su quel bambino a cui egli darà solo la paterrntà legale (2,13-23).

Per continuare l’invito sopra rivolto ai lettori, se avranno occasione di passare davanti alla Galleria Doria Pamphilj di Roma, entrino ad ammirare lo stupendo Riposo durante lafuga in Egitto di Caravaggio, ove il vecchio (ma questa vecchiaia è frutto solo di storie raccontate dai Vangeli apocrifi) Giuseppe fa quasi da leggio a un angelo che suona una musica per conciliare il sonno del piccolo Gesù e di sua madre Maria, una bella donna dai capelli rossi. Con lei era poi andato al tempio a presentare il primogenito Gesù e con lei vivrà con ansia le ore terribili della perdita di Gesù dodicenne, rimasto a Gerusalemme nel tempio tra gli scribi:
«Figlio mio», gli dirà Maria, «tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Luca 12,48).

Iniziava, così, quel distacco che farà sì che Giuseppe scompaia dai Vangeli. Perché noi l’abbiamo voluto rievocare proprio oggi? Perché nella lettura evangelica di questa domenica c’è una delle rare menzioni di questo tektòn, come lo chiamano in greco i Vangeli, cioè “carpentiere, artigiano, falegname”. Nel brano di Giovanni oggi letto si ha questa frase sarcastica dei cittadini di Cafarnao: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?» (6,42). Era ancora una volta lo scandalo dell’Incarnazione, che già a Nazaret aveva fatto dire ai compaesani: «Non è còstui il figlio del carpentiere?... E si scandalizzavano per causa sua» (Matteo 13,55.57).