Esaù in lite con il fratello Giacobbe


Continua nella liturgia di questa domenica la lettura della Lettera di Giacomo, un testo segnato da una forte passione per la giustizia e per una società che viva in armonia. Si legge nel brano odierno questo interrogativo veemente: "Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi?" (4,1). Ebbene noi vorremmo evocare - sulla scia di questa domanda - una celebre lite che travolge due fratelli per ragioni di eredità, Esaù e Giacobbe, entrambi figli del patriarca biblico Isacco. Fisseremo la nostra attenzione sul primo, Esaù, un personaggio un po' rozzo e brutale, la cui storia è viva ancor oggi nell'immaginazione popolare proprio per il suo gesto sconcertante di barattare il diritto della sua primogenitura per "una minestra rossa di lenticchie" (25,29-34).

Il suo nome già evocava il colore di quella minestra: Esaù significa, infatti, "di pelo rosso" o "folto di capelli", e così anche il suo soprannome Edom, "color ocra", come il terreno argilloso (è la stessa radice del nome "Adamo", colui che è tratto dalla terra), un soprannome che sarà imposto ai suoi discendenti Edomiti o Idumei, tradizionali avversari deI popolo ebraico. Non per nulla quell'ostilità viene dall'autore biblico già personificata nel contrasto tra Esaù-Edom e Giacobbe-Israele.

Fin dal momento del parto i due, che erano gemelli, avevano lottato per contendersi la primogenitura, come già nel grembo della madre si urtavano tra loro: "Uscì per primo il rossiccio e tutto avvolto di peli come da un mantello e fu chiamato Esaù. Subito dopo, uscì il fratello, teneva in mano il calcagno di Esaù e fu chiamato Giacobbe" (25,25-26). lI primo era cacciatore e violento; il secondo quieto e prediletto da sua madre Rebecca.

Non c'è bisogno di ricordare come Giacobbe riuscì a far ratificare dal padre Isacco la primogenitura che gli era
stata concessa dal fratello con quell'atto impulsivo. La madre Rebecca tenne bordone al figlio e lo abbigliò in modo tale da ingannare il quasi cieco Isacco che lo scambiò per il figlio primogenito. Quando Esaù rientrò a casa e scoprì il fatto compiuto - una parola ufficiale, com'era quella della benedizione-investitura del primogenito, non poteva essere revocata o invalidata - "scoppiò in alte, amarissime grida" (si legga tutto il racconto di Genesi 27).

Da quel momento tra i due scatterà un invincibile odio che costringerà Giacobbe a divenire esule presso Io zio materno Labano che abitava nella Siria mesopotamica. Esaù frattanto si era sposato con donne ittite, amareggiando suo padre; per accontentarlo aveva poi preso in moglie anche una cugina, la figlia di Ismaele, fratellastro di suo padre Isacco, di nome Mahalat. Passarono gli anni e alla fine era destino che Esaù entrasse ancora in contatto col fratello usurpatore.

L'incontro, vissuto con terrore da Giacobbe, fu invece cordiale: "Esaù gli corse incontro, lo abbracciò, gli si gettò al collo e piansero" (Genesi 33,4). Si scambiarono doni e si presentarono le rispettive famiglie ormai divenute grossi clan tribali. Esaù offrì a Giacobbe di procedere insieme, quasi per ricostruire l'antica unità familiare. Ma l'astuto e sospettoso Giacobbe preferì che Esaù avanzasse più speditamente verso le regioni desertiche ove si era stanziato (la zona montuosa di Seir, un nome analogo a quello di Esaù, "peloso", cioè "boscoso", a sudovest del Mar Morto). Nella Bibbia il nome di Esaù-Edom rimase, però, con un sigillo negativo. Il profeta Malachia non esiterà a mettere in bocca a Dio queste parole: "Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù... e ho dato la sua eredità agli sciacalli del deserto" (1,2).