Davide Batte il gigante Golia


Giacomo e Giovanni, i due fratelli apostoli, si presentano a Gesù svelando la perenne tentazione, quella del potere: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». E Gesù replica evocando: «i capi delle nazioni che le dominano e i grandi che esercitano il potere», per smentire che questo sia il suo programma. Anzi, egli vuole essere servo, debole e umile.
Il contrasto presente nel Vangelo letto nella liturgia di questa domenica (Marco 10,35-45) ha la sua raffigurazione plastica nel duello tra Davide e Golia (nell’originale ebraico è Goliat): un pastorello di piccola statura e ancor giovane contro un campione di lotta, un gigante «alto sei cubiti e un palmo», oltre i due metri e mezzo, stando alle misure offerte dal capitolo 17 del primo Libro di Samuele, ove è raccontata la sfida.

Costui aveva l’abitudine di provocare gli Ebrei in guerra contro i Filistei, una popolazione di origine greca o cretese stanziatasi nell’area meridionale della Terra Santa (contro di essa aveva combattuto un altro eroe gigantesco, questa volta però ebreo, cioè Sansone). Il giovane Davide, giunto nell’accampamento di Israele per portare vettovaglie ai suoi fratelli maggiori impegnati nel servizio militare, assiste a questa provocazione quotidiana e con un po’ di ingenuità ma anche con tanto fervore, tra l’irrisione dei suoi stessi fratelli, decide di presentarsi al re di Israele, Saul, dichiarandosi pronto al duello, a causa della sua agilità muscolosa.

Saul, senza entusiasmo, lo lascia fare e Io fa armare; ma il ragazzo non riesce a muoversi con un’armatura così pesan
te com’era quella cli bronzo in ciotazione dell’esercito ebraico. Il ferro, infatti, più leggero era prodotto solo dai nemici filistei. Non c’è bisogno di narrare come si svolsero i fatti, non solo perché tutti i nostri lettori li conoscono ma anche perché metterebbe conto di leggere quel capitolo dalla trama vivacissima e quasi in presa diretta.

Noi cercheremo solo di indicarne il valore esemplare, a partire dall’istante in cui ii giovane vaviae va a raccognere i cinque ciottoli di torrente e avanza con la sua fonda di pastore, usata per allontanare o colpire le bestie feroci che msidiavano il gregge. Tra l’altro, si ricordi chela tribù di Beniamino aveva un corpo scelto di frombolieri ambidestri, «capaci di colpire con la fonda un capello, senza fallire il colpo» (Giudici 20,16). Il confronto è quello, caro alla Bibbia, tra debolezza sostenuta dalla fede e forza legata all’arroganza e alla violenza.

Significative per interpreta! re la scena sono, perciò, le parole che Davide rivolge a Golia (17,45-47). Esse sono sostanzialinente una professione di fede nel Signore che si schiera dalla parte degli ultimi che hanno fiducia in lui. Alle tre armi del filisteo — spada, lancia, asta — Davide contrappone il nome di Dio coi suoi due titoli più antichi, «Signore degli eserciti», «Dio delle schiere di Israele». Da quel momento il duello è tra il Signore, che si erge alle spalle di Davide, e la potenza umana. L’esito non può essere che scontato e ribalta i canoni della forza secondo la logica degli eserciti. Si domanderà san Giacomo nella sua Lettera: «Dio non ha forse scelto queffi che sono poveri neI mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a coloro che lo amano?» (2,5).