Baruc, il segretario di Geremia


È dal libro del profeta Baruc che è trattala prima gioiosa lettura della liturgia di questa domenica d’Avvento. Ed è proprio di questo personaggio che noi vorremmo delineare un ritratto essenziale che abbozzeremo più ricorrendo al libro di Geremia che non al testo che reca il suo nome. Infatti quest’altra opera è solo attribuita al fedele segretario di Geremia, secondo l’uso dello pseudonimo legato a una figura biblica famosa. In realtà il cosiddetto libro di Baruc è un’antologia di brani diversi e di redazione molto posteriore (II secolo a.C., mentre Baruc era del VI secolo a.C.), giunti a noi in greco.

Dopo un’introduzione storica, si ha una supplica penitenziale; segue un inno alla Sapienza divina, la cui presenza è da cercare nel «libro dei comandamenti di Dio e nella legge che rimane in perpetuo» (4,1), cioè la Torah, la Legge biblica; infine, ecco una specie di omelia profetica contro le infedeltà di Israele e in favore della fedeltà, sorgente di speranza e pace. La traduzione latina del libro di Baruc — la Visigata di san Girolamo — aggiunge una “lettera di Geremia", polemica nei confronti degli idoli. Ma ritorniamo al Baruc storico, il cui nome significa in ebraico “Benedetto”.

Figlio di un certo Neria, egli entra in scena in alcune pagine del libro del suo amico e maestro, il grande Geremia, al cui fianco rimarrà anche nei momenti più oscuri, quando il profeta sarà perseguitato e umiliato. È lui a custodire il contratto e a fungere da testimone quando Geremia acquista un terreno dal cugino Canamel, un gesto dal chiaro valore simbolico: mentre l’esercito del re di Babilonia, Nabucodonosor, assedia Gerusalemme e i terreni non valgono più nulla, il profeta procede in senso opposto, così da far balenare ai suoi concittadini un futuro sereno e libero (capitolo 32).

Baruc era stato accanto al suo maestro anche quando il re Ioiakim nell’inverno del 605-604 a.C. aveva bruciato sghignazzando la prima raccolta scritta degli oracoli profetici di Geremia, stesi dal segretario sotto la dettatura del profeta e letti in pubblico nel tempio. Dopo la lettura di 304 colonne, il re «lacerava il rotolo col temperino e lo gettava sul braciere, finché non fu distrutto l’intero rotolo nel fuoco del braciere», che riscaldava la sala del trono. Ma, appresa la notizia, «Geremia prese un altro rotolo e lo consegnò a Baruc figlio di Neria, lo scriba, il quale vi scrisse, sotto dettatura di Geremia, tutte le parole del libro che Ioiakim re di Giuda aveva bruciato nel fuoco; inoltre vi furono aggiunte molte parole simili a quelle» (capitolo 36,32).

Venne, alla fine, il crollo di Gerusalemme, annunziato da Geremia. Gli Ebrei furono deportati con il loro re Sedecia a Babilonia, mentre il profeta con il suo segretario fu lasciato in Israele, proprio perché egli aveva invitato i suoi connazionali ad arrendersi al sovrano babilonese. Con lui rimase un gruppo di altri Ebrei; tra i quali v’era Godolia, il governatore nominato dai Babilonesi.
Un attentato, però, uccise Godolia e, così, molti Ebrei si decisero a riparare in Egitto per evitare le ritorsioni del potere babilonese. Costoro costrinsero Geremia e Baruc a seguirli in Egitto, ove si stabilirono a Tafni, città di frontiera a est del delta del Nilo (43,6).

Nel capitolo 45 di Geremia si conserva un oracolo che il profeta ha riservato personalmente al suo segretario, un testo che prende spunto dalla tristezza di Baruc («Sono stanco dei miei gemiti e non trovo pace») per annunziargli che il Signore gli «farà dono della vita come bottino, in tutti i luoghi dove andrai» (45,3.5). Una speranza modesta ma realistica che suggella la storia di questo segretario e amico fedele.