Sofonia, il Signore protegge


«Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!».

Inizia così il salmo festoso che funge da prima lettura nella liturgia di questa domenica e che è incastonato nel capitolo 3,14 di Sofonia. Ed è proprio di questo profeta, di poco più anziano di Geremia, che ora vogliamo tracciare un breve profilo. Di lui conosciamo una sorta di piccola genealogia posta in apertura al suo libretto profetico: Cusci (“l’etiope”, forse per le sue antiche origini o per una ragione a noi ignota) era il nome di suo padre; Godolia si chiamava suo nonno, Amaria il bisnonno e il trisnonno portava lo stesso nome del re di Giuda contemporaneo di Isaia, Ezechia.

Il suo nome, Zefanijah in ebraico, significava "il Signore protegge”, e la sua missione si svolse al tempo del re giusto Giosia, verso lo scorcio del VII secolo a.C., quando appunto stava levandosi l’astro del grande Geremia. Una missione profetica che ha lasciato una traccia esile ma intensa nei 53 versetti del suo libro, un’opera che ha due fili conduttori costanti. Da un lato, si fa balenare il giudizio implacabile di Dio su tutti i traditori della fede biblica: i dignitari di corte del precedente re Amon, un sovrano empio e corrotto, il cui nome pagano egizio era già un programma; gli idolatri e i seguaci di pratiche magiche; la borghesia commerciale di Gerusalemme dai traffici illeciti e dalle ingiustizie palesi.

D’altro lato, il profeta esalta gli ‘an-awim, cioè i “poveri”, sia per condizione sociale perché vittime dei soprusi, sia per la loro devozione e fiducia nei confronti del Signore e non della ricchezza o del potere: «Cercate il Signore», esclama Sofonia, «voi tutti, poveri del paese, che eseguite i suoi ordini, cercate la giustizia e l’umiltà» (2,3). È appunto a questa categoria di persone, sempre seguita con condivisione dai vari profeti, che è dedicato il salmo a cui facevamo cenno in apertura. In esso si dichiara che nel grembo di questa nuova Sion dei poveri Dio tornerà a risiedere e a rivelarsi: «Re di Israele è il Signore in mezzo a te... Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente» (3,15-17).

È interessante notare che in ebraico «in mezzo a te...» è espresso con un termine che può evocare il “grembo”. Sion è come una madre che ospita nel tempio, nella discendenza davidica e nei poveri la presenza salvifica del Signore. Ma per adempiere a questo destino, la Gerusalemme storica, «città ribelle, contaminata e prepotente» (3,1), deve purificarsi e rigenerarsi. È così che la voce di Sofonia si è levata, alta e forte, nelle piazze della capitale ed è risuonata nei secoli come testimonianza del giudizio divino, quello che i profeti chiamavano «il giorno del Signore».

«Giorno d’ira quel giorno», urla Sofonia, «giorno di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e di sterminio, giorno di tenebre e di caligine, giorno di nubi e di oscurità, giorno di squilli di tromba e d’allarme...» (1,15-16). Queste parole, attraverso il loro avvio secondo la versione latina di san Girolamo, offriranno lo spunto alla celebre sequenza medievale Dies irae, entrata nella liturgia dei defunti a partire dal XVI secolo e per questo ripetutamente messa in musica. Un testo che fa rabbrividire, ma che non deve far dimenticare il messaggio di speranza e di festa che lo stesso Sofonia ci ha lasciato.