Simone, il vegliardo che abbraccia Gesù


La modesta famiglia di Nazaret si presenta un po’ spaesata nei cortili del monumentale tempio, eretto dal re Erode a Gerusalemme, per il rito della presentazione a Dio del primogenito, il neonato Gesù. Secondo la legge biblica «ogni maschio primogenito era, infatti, consacrato al Signore» (Esodo 13,2) e doveva essere riscattato con un’offerta sacnficale. L’evangelista Luca dal fondale fatto di sacerdoti, leviti, fedeli, venditori, cambiavalute e curiosi fa avanzare una coppia di anziani, Simeone e una vedova ottantaquattrenne di nome Anna.

Noi ora fisseremo la nostra attenzione su Simeone, un nome che significa: “Il Signore ha ascoltato”, e che ha la sua variante in “Simone”, nome portato anche da Pietro e da un altro discepolo di Cristo, oltre che da sei personaggi neotestamentari (Simone “fratello” di Gesù, Simone di Cirene, Simone il fariseo, Simone il lebbroso, Simone il mago, Simone il cuoiaio). Si tratta di «un uomo giusto e timorato di Dio», cioè il rappresentante di quei fedeli autentici che la Bibbia chiama anche ‘anawim, i “poveri” del Signore, o saddiqim, i “giusti”, o anche hasidim, i “pii”, che credono in Dio e attendono «il conforto di Israele», ossia alimentano la speranza di «vedere il Messia del Signore».

L’evangelista Luca al suo ritratto di Simeone (2,25-35) aggiunge due dichiarazioni solenni che questo anziano — chiamato dalla tradizione greca il Theodochos, cioè “colui che accoglie (e sorregge tra le braccia)” Gesù — pronunzia. La seconda è un oracolo severo sulla storia futura che sarà segnata e lacerata dalla presenza di questo bambino che è «qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione» (2,34). E sua madre sarà anch’essa coinvolta in questo dramma e avrà «l’anima trafitta da una spada» di sofferenza.

Noi, però, ci fermiamo di più sulla prima dichiarazione che è in realtà un dolce inno divenuto popolare nella preghiera serale liturgica della Compieta con le prime parole della versione latina, Nunc dimittir «Ora lascia, Signore, che il tuo servo / vada in pace secondo la tua parola, / perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, / da te preparata davanti a tutti i popoli, / luce per illuminare le genti / e gloria del tuo popoio Israele» (2,29-32).

Uno studioso, Douglas R. Jones, ha ipotizzato che questo pacato piccolo salmo cristiano fosse in realtà un antico canto funebre per un fedele, messo in bocca a Simeone. È noto, infatti, che altri personaggi del vangelo dell’infanzia di Gesù secondo Luca intonano cantici che sono stati rielaborati probabilmente dalla liturgia delle origini cristiane: pensiamo al Benedictus di Zaccaria, padre di Giovanni Battista, e allo stesso Magnifìcat di Maria.

Tuttavia dobbiamo dire che quello di Simeone non è un addio crepuscolare e malinconico alla vita; è, invece, un saluto festoso all’alba messianica che sta per schiudersi e che vedrà come protagonista proprio quel bambino che Simeone stringe tra le braccia.