ASSALONNE, Figlio mio


Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore tuo Dio!».
Suona così il quarto comandamento nel Decalogo (Esodo 20,12) che è proclamato nella prima lettura di questa domenica quaresimale.
Noi vorremmo idealmente raffigurare la violazione di questo precetto attraverso la figura di Assalonne, terzo figlio del re Davide, il cui nome in ebraico incarna quasi un paradosso perché significa “il padre è pace”.
Noi sappiamo, invece, quanto aspra fu la contesa che intercorse tra figlio e padre.

Tutto cominciò in una calda giornata d’Oriente allorché Amnon, un altro figb di Davide (ma avuto da un’altra moglie), violentò con un inganno la sorella di Assalonne, Tamar (“palma”), una ragazza stupenda.
Da quel momento Assalonne non ebbe pace finché non riuscì a far assassinare il violentatore.
Gli eventi precipitarono, anche perché Davide era costretto a render giustizia per questo delitto. Si fece strada, così, in Assalonne il progetto di un colpo di Stato, facendo leva su un certo malcontento popolare e usufruendo anche del sostegno di alcuni settori della stessa corte.

«La congiura divenne potente», si legge nella Bibbia, «e il popolo andava crescendo di numero attorno ad Assalonne».
Egli decise, allora, di marciare su Gerusalemme, mettendo in fuga il padre, costretto a riparare in Transgiordania.
Assalonne poteva, così, fare il suo ingresso trionfale nella capitale e prendere possesso dell’harem paterno, un gesto che in Oriente indicava la presa di potere e la successione.
Una serie di colpi di scena, legati anche a una trama di vicende di spionaggio, portò a uno scontro aperto tra i due eserciti, quello dei ribelli e l’armata lealista davidica.

La battaglia si scatenò nella foresta di Efraim e segnò una clamorosa sconfitta dei rivoluzionari. Davide aveva dato ordine al suo comandante generale, il nipote loab, di risparmiare quel figlio che pur desiderava commettere un parricidio.
Ma il generale — che ben sapeva i rischi legati alla sopravvivenza di una figura così rappresentativa — non ebbe esitazione: quando localizzò Assalonne coi suoi lunghissimi e folti capeffi impigliati nei rami di una quercia di quella foresta (la cavalcatura era passata oltre, lasciandolo sospeso in aria), loab gli piantò ben tre frecce all’altezza del cuore.

Alla notizia di quella fine, Davide, che era ancora esule oltre il Giordano, dimentico dell’odio che quel figlio gli aveva riservato, si mise a piangere e a urlare: «Figlio mio, Assalonne, figlio mio, figlio mio Assalonne! Fossi morto io invece dite, Assalonne, figlio mio, figlio mio!».
Un grido reiterato che risuonava nelle sale del palazzo ove risiedeva e che smorzava sul nascere il desiderio di festa dei suoi fedeli che erano tornati vincitori da quello scontro contro i ribelli.

Ma il generale loab non poteva permettere che chi aveva rischiato la vita per il re fosse umiliato da quel lutto. E, così, facendo prevalere la ragion di Stato sui sentimenti, costrinse Davide ad assistere alla parata militare perla vittoria.
Chi vorrà conoscere questa storia in tutti i suoi particolari, legga lo stupendo racconto presente nei capitoli 13-19 del secondo Libro di Samuele.

Uno scrittore americano, William Faulkner (1897-1962) nel romanzo Absalotn! Absaloml (1936), ha ripreso in chiave moderna la vicenda del protagonista Henry Sutpen che uccide il fratellastro il quale aveva insidiato sua sorella Giuditta, dando il via alla decadenza drammatica della sua famiglia.