Filippo, fedele seguace del Maestro


In occasione della solennità di Pasqua a Gerusalemme accorrevano anche gli ebrei che abitavano all’estero, da quella che era la Diaspora, cioè la “dispersione” in mezzo ai pagani. Spesso parlavano il greco ed erano, perciò, scambiati come greci. Un gruppo di costoro, avendo sentito parlare di Gesù, presente in quei giorni a Gerusalemme - egli era ormai alla soglia degli eventi tragici finali della sua vita terrena - , decidono di incontrano, forse per curiosità. Si accostano, allora, a uno dei suoi discepoli, il cui nome era tipicamente greco, Filippo (“amante dei cavalli”).

Costui contatta un collega dal nome ugualmente greco, Andrea (“virile”), fratello di Pietro, e suo compaesano: entrambi, infatti, erano di una cittadina che si affacciava sul lago di Tibenade in Galilea, Betsaida (in aramaico, “casa della pesca”). Con questa mediazione quegli ebrei greci vengono presentati a Cristo che, in risposta, pronuncia parole solenni sulla sua sorte imminente, comparandola a quella del seme di grano caduto in terra, destinato a morire marcendo per germogliare in stelo e produrre una spiga.

Il racconto di questo episodio è presente nel capitolo 12 del Vangelo di Giovanni (versetti 20-33) ed è proposto dalla liturgia di questa quinta domenica di Quaresima. Ma la storia di Filippo era cominciata due otre anni prima ed è ancora il quarto Vangelo a narrarci quell’inizio (gli altri Vangeli, infatti, riferiscono solo il nome di Filippo nella lista dei dodici apostoli). Un giorno egli aveva incrociato in Galilea Gesù che lo aveva invitato senza esitazione a seguirlo come discepolo. Subito dopo, Filippo si era trasformato in testimone di Cristo nei confronti di un altro galileo, di nome Natanaele. Ecco la narrazione di Giovanni:
«Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea. Là incontrò Filippo e gli disse: Seguimi! Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e Pietro. Filippo incontrò Natanaele e gli disse: Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret. Natanaele esclamò: Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono? Filippo gli replicò: Vieni e vedi!» (1,43-46).

Da allora egli sarà un fedele seguace di quel misterioso Maestro, facendo talvolta capolino, anche con qualche tratto di dubbio, come nel giorno della moltiplicazione dei pani, quando Gesù gli aveva obiettato: «Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare? Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare. Filippo rispose: Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo» (6,5-7). Sappiamo, poi, come Gesù risolse il dubbio di Filippo. Costui si riaffaccia con lo stesso atteggiamento in un’ultima occasione, in quella sera tesa e intensa all’interno del Cenacolo, poche ore prima dell’arresto di Cristo.

Gesù sta parlando: «Se conoscete me, conoscerete anche il Padre; fin da ora lo conoscete e l’avete veduto». All’improvviso Filippo lo interrompe: «Signore, mostraci il Padre e ci basta!». E Gesù, con una punta di tristezza: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre?» (14,7-9). Una nota a margine: altre due figure del Nuovo Testamento portano il nome di Filippo: il secondo dei sette “diaconi”, predicatore attivo in più luoghi secondo gli Atti degli Apostoli (6,5; 8,5-40), tanto da essere soprannominato “Filippo l’evangelista” (21,8), e il figlio di Erode ricordato da Luca (3,1) come principe della regione dell’Iturea e della Traconitide, sposo di Salome, figlia della celebre e terribile Erodiade, causa della morte del Battista.