Barabba, un prigioniero famoso


Dalla sobria ed essenziale narrazione della passione di Gesù secondo Marco, che viene proclamata in questa domenica delle Palme, facciamo emergere un personaggio minore che è entrato, però, nell’immaginario comune come una figura terribile, proprio per il confronto con Gesù a cui fu sottoposto. Il suo nome è Barabba, che in aramaico, la lingua allora parlata in Palestina a livello popolare, significa ufiglio del padre”. Egli viene coinvolto nelle ultime vicende della vita di Gesù dal governatore romano Ponzio Pilato, che non si rassegna a darla vinta subito agli odiati ebrei che gli avevano consegnato Gesù per la condanna a morte.

Come racconta Marco nel capitolo 15 del suo Vangelo (versetti 6-15), Pilato aveva tentato di rispolverare un non altrimenti noto “privilegio pasquale”, che comprendeva la possibilità di concedere l’amnistia a un detenuto, scelto secondo una sorta di giuria popolare assembleare. È a questo punto che entra in scena Barabba, «che si trovava in carcere insieme ai ribelli che, durante un tumulto, avevano commesso un omicidio». Matteo lo definisce «un prigioniero famoso» (27,16). Si trattava quasi certarnente di un leader dei rivoluzionari antiromani, i cosiddetti zeloti, che i Romani chiamavano “sicari” perché agivano colpendo le loro vittime con la sica, che era un corto pugnale.

È curioso notare che alcuni antichi manoscritti che ci hanno trasmesso il Vangelo di Matteo attribuiscono a Barabba — che è un cognome — il nome di Gesù, per cui il contrasto sarebbe ancor più stridente nelle parole di Pilato rivolte alla folla: «Chi volete che vi lasci: Gesù Barabba o Gesù chiamato Cristo?» (Matteo 27,17). Ma questa notizia è sospetta ed è stata introdotta forse
proprio per rendere più drammatico il dilemma e tragica la scelta della folla che, sobillata dai sacerdoti, esige che l’amnistia sia concessa a Barabba. Pilato a questo punto non ha più sbocchi per sottrarre Gesù alla condanna: «Che farò, allora, di quello che voi chiamate il re dei Giudei? Essi gridarono: Crocifiggilo! E Pilato: Ma che male ha fatto? Essi, allora, gridarono più forte: Crocifiggilo! Pilato, volendo ormai dar soddisfazione alla folla, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso» (Marco 15,12-15).

Finisce qui la storia a noi nota di Barabba che l’evangelista Giovanni definisce un “brigante”, termine con cui i Romani definivano i ribelli alloro potere (18,40). Ma la sua figura, come si diceva, rimarrà impressa nella fantasia popolare ed è interessante notare che nel secolo scorso ben tre scrittori lo hanno riportato all’attenzione. Iniziò neI 1927 il norvegese J.N. Grieg col dramma Barabba, giocato proprio sul contrasto tra la violenza rivoluzionaria del protagonista e la mitezza, ben più “rivoluzionaria”, della parola e dell’esempio di Cristo. Nel 1929 fu il belga M. de Ghelderode a proporre in un altro dramma la figura di Barabbas, ma col colpo di scena della sua conversione grazie all’incontro con Gesù.

Infine nel 1950 appare il romanzo Barabba dello svedese P. Lagerkvist, forse la sua opera più celebre. Una storià complessa che presenta Barabba come parricida. Presente alla crocifissione di Cristo e alla sua risurrezione, egli si avvia su una strada tormentata e incerta di conversione che lo conduce sino a Roma, ove morirà crocifisso come cristiano, dopo l’incendio di Nerone, senza per questo essere approdato in modo chiaro alla fede.