Malachia, messaggero del Signore


È un vero e proprio mister x il personaggio biblico che ora presentiamo. Di lui non sappiamo nulla, neppure il nome.
Infatti, molti studiosi ritengono che “Malachia” al massimo sia uno pseudonimo, oppure un nome di comodo inventato dal redattore finale di un libretto profetico sulla base di un termine presente nel versetto i del capitolo 3, mal’aki cioè “mio messaggero, mio angelo”.

Da qui sarebbe derivato un Mal’aki-jah, “Malachia”, ossia “messaggero del Signore”, vocabolo ideale per designare un profeta altrimenti ignoto.

Il libretto che è giunto a noi, comunque, fa balenare qualche dato del tempo in cui questo ignoto “messaggero” predicava in nome del Signore. Saremmo attorno alla seconda metà del V sec. a.C., mentre dominava nello scacchiere del Vicino Oriente la potenza persiana e in Israele erano al potere il sacerdote Esdra e il politico Neemia con un regime piuttosto rigido, per non dire integralista. Certo è che il nostro “messaggero del Signore”, Malachia, si schiera dalla loro parte, cercando di opporsi a ogni forma di lassismo.

Innanzitutto egli attacca la degenerazione del sacerdozio ebraico che fala cresta sui sacrifici, offrendo animali di scarto nel tempio (1,6-2,9). Punta l’indice, poi, contro i divorzi consumati da alcuni Ebrei per poter convolare a nuove nozze con donne straniere, introducendo così i matrimoni misti, fonte di corruzione religiosa, fieramente avversati dai citati Esdra e Neemia (2,10-16).

Non bisogna dimenticare che fino ad oggi nell’ebraismo è la madre a dare l’ebraicità e quindi a determinare l’educazione religiosa. Infine, il profeta attacca l’egoismo degli Ebrei che praticano frodi sull’importo dovuto per le decime del tempio (3,6-12).

Ma il libretto di questo “anonimo” profeta non è solo fatto di requisitorie, come accade pure nei paragrafi dedicati al giudizio finale divino, il “giorno del Signore” (2,7-3,5 03,13-21). Egli accende anche la fiaccola della speranza in due passi del capitolo 3, divenuti celebri soprattutto nella tradizione cristiana. Nel primo (3,1-5) entra in scena un “messaggero” del Signore, quel mal’akì, a cui sopra si accennava, detto anche “angelo/messaggero dell’alleanza”, che viene a purificare — come fanno i lavandai con la lisciva o i fonditori col crogiuolo — “i figli di Levi”, cioè i sacerdoti, così che il loro culto diventi gradito a Dio «come nei giorni antichi».

Il secondo testo (3,23-24) annunzia, invece, il ritorno del profeta Elia per essere il precursore dell’era messianica. Ricordiamo che Gesù stesso, dopo la Trasfigurazione, dichiarerà che il nuovo Elia è Giovanni Battista, suo precursore: «Vi dico che Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, l’hanno trattato come hanno voluto» (si leggano Matteo 17,10-13 e 11,14).

Ma a questo punto ci si chiederà: perché proporre questo misterioso “Malachia” proprio nella solennità del Corpo e del Sangue del Signore?

La risposta è facile. In questo scritto c’è una frase molto bella che esalta un culto puro offerto non a Gerusalemme (già si è detto delle critiche del profeta), ma in tanti altri luoghi del mondo: forse Malachia pensa agli Ebrei della diaspora, oppure al culto dei vari popoli celebrato con cuore sincero e quindi rivolto all’unico Dio e non ai falsi idoli. Ecco le sue parole: «Dall’oriente all’occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e un’oblazione pura...» (1,1 1). Ebbene, il Concilio di Trento ha liberamente applicato questo passo proprio all’Eucaristia, celebrata in ogni angolo della terra come «oblazione pura».