Timoteo, prezioso collaboratore di Paolo


Certo, le figure dominanti di questa domenica sono Pietro e Paolo. Ma per tracciare accuratamente il profilo di ciascuno di loro non basterebbero alcune decine di puntate della nostra rubrica, che, tra l’altro, vuole far emergere solo personaggi di secondo piano. Così, abbiamo deciso di presentare uno dei discepoli più cari a Paolo, quel Timoteo a cui indirizza ben due lettere: anzi, nel brano della seconda, letto nella liturgia di questa domenica, gli consegna anche uno splendido e struggente testamento, mentre l’Apostolo sente avvicinarsi la sua ultima ora (4,6-8).

Timoteo, dal nome greco (“colui che onora Dio”), era nato a Listra di Licaonia, nell’attuale Turchia centrale, da padre greco e da madre giudeocristiana. Le sue origini familiari sono così rievocate da Paolo stesso: «Ricordo la tua fede schietta, che pervase prima tua nonna Loide e poi tua madre Eumce» (2 Timoteo 1,5). La sua figura emerge abbastanza nitidamente nel libro degli Atti degli Apostoli ove è registrato un fenomeno abbastanza curioso. Divenuto suo collaboratore, Paolo decise di far circoncidere Timoteo e questo «per riguardo ai giudei che risiedevano in quelle regioni: tutti, infatti, sapevano che suo padre era greco», cioè pagano (16,3).

È noto che per Paolo «la circoncisione non contava nulla, come l’incirconcisione» (1 Corinzi 7, 19); anzi, egli si era strenuamente battuto perché ai pagani convertiti al cristianesimo non fosse richiesto di transitare prima nel giudaismo circoncidendosi. Ora, però, per realismo pastorale e per quieto vivere, si rassegna a questa soluzione per non provocare i giudeo-cristiani e quell’area dell’Asia minore con la presenza di un predicatore non circonciso. Tuttavia è da notare che l’Apostolo non accetterà questa scelta per l’altro collaboratore più caro, Tito, che, «sebbene fosse greco, non fu obbligato a circoncidersi» (Galati 2,3).

Il nostro Timoteo è di scena ripetutamente nei capitoli 16-20 degli Atti degli Apostoli, durante il secondo viaggio missionario che conduce Paolo prima nella Turchia centrale, poi in Macedonia (a Filippi e a Tessalonica), per approdare infine a Corinto.
In ben sei lettere Paolo lo associa a sé nel saluto iniziale rivolto ai destinatari, corinzi, filippesi, colossesi, tessalonicesi (due lettere), e all’amico Filemone. Fa capolino anche nella finale della Lettera agli Ebrei, che non è però di Paolo: qui si legge che «il nostro fratello Timoteo è stato messo in libertà» (13,23). Forse si fa riferimento alla condivisione della prigionia romana di Paolo.

Certo è che questo prezioso collaboratore fu incaricato dall’Apostolo di missioni delicate, sia a Tessalonica, sia soprattutto a Corinto. In questa turbolenta comunità cristiana fu inviato per «richiamare alla memoria le vie indicate (da Paolo) in Cristo» (lCorinzi4,l7). Anzi, l’Apostolo presenta calorosamente questo suo «figlio amato e fedele nel Signore» perché venga trattato bene: «Quando verrà Timoteo, fate che non si trovi in soggezione presso di voi, giacché anche lui lavora come me per l’opera del Signore. Nessuno, allora, gli manchi di riguardo; al contrario, accomiatatelo poi in pace, quando ritornerà da me: io lo aspetto coi fratelli» (1 Corinzi16,10-11).

Infine, Paolo lo incaricherà ufficialmente di gestire la comunità di Efeso (la tradizione lo considera il primo vescovo di quell’importante città della Turchia costiera). Scrive, infatti, nella prima Lettera a lui indirizzata: «Partendo per la Macedonia, ti raccomandai di rimanere a Efeso, perché tu invitassi alcuni a non insegnare dottrine diverse e a non badare più a favole...» (1,3-4). La leggenda vuole che egli morisse martire sotto l’imperatore Domiziano, mala notizia non ha fondamento storico ed è solo in un testo apocrifo, gli Atti di Timoteo (IV sec.)