Apollo, colto e gran predicatore


No, non parleremo ora di Apollo, figlio di Giove e di Latona e fratello di Diana, il dio romano del sole, della musica, della poesia, delle arti e della medicina. L’Apollo che vogliamo mettere in scena — in greco Apollòs — era un comune mortale: anzi, il suo nome era il diminutivo di Apollonio, un nome popolare nel mondo classico, a partire dallo scultore omonimo o da Apollonio Rodio, l’autore del poema greco GliArgonauti (III secolo a.C.), o dall’Apollonio filosofo ambulante pitagorico, famoso per i suoi presunti miracoli.

A parlare di Apollo, predicatore cristiano, siamo spinti dal fatto che in questa domenica leggiamo nella liturgia un brano della seconda Lettera di Paolo ai Corinzi. Ebbene, Apollo — secondo gli Atti degli Apostoli (18,24) — era un ebreo nato nella comunità della Diaspora giudaica di Alessandria d’Egitto ed era un seguace dei discepoli del Battista che, anche dopo il ministero pubblico di Gesù, erano rimasti indipendenti e praticavano il battesimo di purificazione del loro maestro.

Apollo era «un uomo colto, versato nelle Scritture» e gran oratore, e si era lasciato conquistare dalla figura di Cristo. Su stimolo di una coppia cri- I stiana di sposi, Aquila e Priscilla, amici di Paolo, era stato non solo formato con maggior profondità sulla dottrina cristiana, ma anche convinto a trasferirsi da Efeso, la città dell’Asia minore (attuale Turchia occidentale egea) ove si trovava, a Corinto, in Grecia. «Giunto colà», scrive ancora Luca negli Atti degli Apostoli, «fu molto utile per coloro che, per opera della grazia, erano divenuti credenti. Confutava con vigore i Giudei, dimostrando pubblicamente attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo» (18,27-28).

È così che la sua figura si legò indissolubilmente alla comunità cristiana della città greca di Corinto. Il legame fu così intenso che si era costituito un gruppo di suoi seguaci, probabilmente convertiti dal paganesimo e affascinati dalla sua eloquenza forbita. Costoro tendevano a far parte a sé, isolandosi rispetto agli altri gruppi di convertiti dal giudaismo o di tendenze più o meno aperte o rigoriste. Di questa situazione di tensione nella Chiesa di Corinto si ha testimonianza in un passo della prima Lettera di Paolo ai Corinzi.

L’Apostolo, venuto a conoscenza a Efeso, dove soggiornava, di queste divisioni attraverso i dipendenti di una donna manager di Corinto di nome Cloe, scriveva: «Mi è stato segnalato dalla gente di Cloe, o frateffi, che vi sono discordie fra di voi. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: Io sono di Paolo! oppure: Io invece sono di Apollo! E altri: E io sono di Cefa! O ancora: Io sono di Cristo! Ma Cristo è stato forse diviso?» (1,1 1-13). È facile intuire il rischio che correva quella Chiesa, frantumata in correnti e movimenti che si guardavano in cagnesco o erano in concorrenza. Più avanti nella stessa lettera Paolo ritornerà sulla questione: «Quando uno dice: Io sono di Paolo! E un altro: Io sono di Apollo! Non vidimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Cosa è Paolo? Solo ministri attraverso i quali siete venuti alla fede... Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irriga è qualcosa, ma Dio che fa crescere» (3,4-7).

In finale di lettera l’Apostolo cita ancora con rispetto «il fratello Apollo», che in quel momento era a Efeso con lui, annunziandone il ritorno, non però immediato, a Corinto (16,12). Da quel momento di Apollo non si saprà nulla. In passato alcuni (tra costoro ariche Lutero) ipotizzarono che fosse l’autore della Lettera agli Ebrei.