Giuda Taddeo, con Gesù in silenzio
Nel brano del Vangelo di Marco che la liturgia di questa domenica propone c’è una sorta di scena ideale: «Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato» (6,30). Immaginiamo di fissare lo sguardo su tutti quei volti che l’arte ha raffigurato nei secoli in mille profili diversi. L’elenco dei loro nomi lo possediamo: lo stesso Marco ce lo offre in 3,16-19. Ebbene, tra costoro vogliamo ora far emergere un volto poco noto, un discepolo che aveva probabilmente una doppia denominazione, Giuda Taddeo.
Tutti conosciamo il suo omonimo ben più tragicamente celebre, «Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì», come si legge nelle liste evangeliche dei dodici apostoli. Alcuni forse ricordano un altro Giuda, “fratello” cioè parente di Gesù (Marco 6,3) che per molti sarebbe l’autore anche della breve e vivace Lettera di Giuda, presente nel Nuovo Testamento. E se vogliamo continuare la ricerca dei vari Giuda cristiani — che portavano un nome molto caro e nobile per gli Ebrei (pensiamo al patriarca Giuda, figlio di Giacobbe e Lia, colui che dette il nome alla tribù da cui discenderà Davide, o a Giuda Maccabeo) —, dovremmo evocare anche Giuda Bar-Sabba, cioè figlio di Sabba, figura di rilievo della comunità cristiana di Gerusalemme, delegato del primo “concilio” e predicatore ad Antiochia (Atti 15,22.32).
Oppure sarebbe da menzionare anche quel Giuda di Damasco che ospitò Paolo, appena reduce dall’esperienza sconvolgente della sua conversione (Atti9, il). E c’è anche negli Atti degli Apostoli la citazione di un ribelle antiromano, Giuda il Galileo, che ebbe un certo seguito come figura messianica, eliminato però dalla repressione imperiale (5,37). Ma ritorniamo al nostro Giuda Taddeo. Matteo e Marco, nella loro lista degli apostoli, io chiamano solo Taddeo. Curiosamente, però, alcuni antichi manoscritti del Vangelo di Matteo ci riferiscono di lui un altro nome, cioè Lebbeo, che vuoi dire “l’audace, il coraggioso” (in ebraico leb è il “cuore”).
Luca, invece, nel suo duplice elenco dei Dodici, quello conservato nel Vangelo (6,15) e quello degli Atti degli Apostoli (1,13), lo chiama Giuda di Giacomo. Siamo, quindi, in presenza di un personaggio dai molti nomi e dai contorni fluidi, tant’è vero che non è mancato chi lo identificasse anche col citato “fratello” di Gesù di cui sopra abbiamo già ricordato la connessione con la Lettera di Giuda. Di questo Giuda di Giacomo, Taddeo o Lebbeo, in pratica, non sappiamo altro, se non che seguì Gesù in silenzio, ascoltando la sua parola e camminando con lui per le strade polverose, prima della Galilea e poi della Giudea.
Ma, alla fine, poche ore prima che Gesù fosse arrestato, in quella sera intensa ed emozionante, mentre il Maestro nel Cenacolo, celebrata l’ultima cena, stava a lungo parlando, Giuda aveva finalmente avuto il coraggio di intervenire e aveva espresso a Gesù un dubbio che forse da tempo gli rodeva il cuore. È Giovanni a narrarcelo nel suo Vangelo: «Disse a Gesù Giuda, non l’Iscariota: Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo? Gli rispose Gesù: Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non ama, non osserva le mie parole e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato» (14,22-24). Cristo, dunque, si svelava a chi lo amava, e il mondo, invece, l’aveva odiato e non aveva ascoltato le sue parole.