CAPITOLO TERZO

 

Li (Il Fuoco)

1 Nel profondo del cuore ho deciso che il mio fuoco arda gioiosamente, né mi rattristo se il legno talvolta sfrigola e scoppietta ed un lontano, acuto lamento sfugge alle fibre che si struggono.

2 Nel calore della fiamma rivive il calore d'estati trascorse, nella sua luce riverbera la luce di meriggi ormai lontani.

3 Voglio essere il signore del mio fuoco. Non gli permetterò di crescer tanto da incendiare la mia capanna né di languire sino a morirne. Lietamente seguirò il suo guizzare in lingue rosseggianti, robusto, sicuro, regolare e bello.

4 Lo so: talora dovrò attizzarlo agitando il ventaglio, talaltra temperare il suo vigore così che una vampata troppo vivace non spinga a traboccare l'acqua che bolle cantando.

5 Soprattutto mai dovrà mancarmi legna: legna buona per un fuoco buono, legna di pino montano quando la mia casetta s'ha da riempire di profumo soave.

 

6 Che cosa significa la legna? Che cosa significa il fuoco?

7 Il legno - buono, profumato, asciutto oppure ancor verdeggiante - sono le varie esperienze che la vita mi dona e tra le quali io posso, entro certi limiti, scegliere. 8 Il fuoco è la pratica che ne scaturisce trasmutandole.

9 Grazie a questo fuoco potrò cuocere e preparare per la mia mensa la Vivanda Deliziosa, cibo squisitissimo e prelibato di cui ogni giorno voglio potermi cibare.

 

Indice de "La Grande Pratica"