WITTGENSTEIN

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[TLP, 4.11] “La totalità delle proposizioni vere è la scienza naturale tutta (o la totalità delle scienze naturali)”
“La filosofia non è una delle scienze naturali.
(la parola «filosofia» deve significare qualcosa che sta sopra o sotto, non già presso, le scienze naturali.)”.

[TLP, 4.111] “Scopo della filosofia è la chiarificazione logica dei pensieri.
La filosofia è non una dottrina, ma un’attività.
Un’opera filosofica consta essenzialmente d’illustrazioni.
Risultato della filosofia non sono <<proposizioni filosofiche>>, ma il chiarirsi di proposizioni.

[TLP, 4.112] La filosofia deve chiarire e delimitare nettamente i pensieri che altrimenti, direi, sarebbero torbidi e indistinti.”

[TLP, 6.53] “il metodo corretto della filosofia sarebbe propriamente questo: Nulla dire se non ciò che può dirsi; dunque proposizioni della scienza naturale - dunque, qualcosa che con la filosofia nulla ha da fare -, e, poi, ogni volta che altri voglia dire qualcosa di metafisico, mostrargli che, a certi segni nelle proposizioni, egli non ha dato significato alcuno. Questo metodo sarebbe insoddisfacente per l'altro - egli non avrebbe il senso che gli insegniamo filosofia - eppure ‘esso’ sarebbe l'unico rigorosamente corretto.”

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“118.  Da che cosa acquista importanza la nostra indagine, dal momento che sembra soltanto distruggere tutto ciò che è interessante, cioè grande ed importante? (Sembra distruggere, per così dire, tutti gli edifici, lasciandosi dietro soltanto rottami e calcinacci.) Ma quelli che distruggiamo sono soltanto edifici di cartapesta, e distruggendoli sgombriamo il terreno del linguaggio sul quale essi sorgevano.

119.  I risultati della filosofia sono la scoperta di un qualche schietto non-senso e di bernoccoli che l'intelletto si è fatto cozzando contro i limiti del linguaggio. Essi, i bernoccoli, ci fanno comprendere il valore di quella scoperta.

120.  Quando parlo del linguaggio (parola, proposizione, ecc.), devo parlare il linguaggio di tutti i giorni. Questo linguaggio è forse troppo grossolano, materiale, per quello che vogliamo dire? E allora, come si fa a costruirne un altro? - E com'è strano che con il nostro possiamo pur fare qualcosa!

Che nelle mie spiegazioni concernenti il linguaggio io debba applicare il linguaggio completo (non un linguaggio preparatorio o provvisorio) mi fa già vedere che intorno al linguaggio posso produrre soltanto esteriorità.

Ma allora come possono soddisfarci queste spiegazioni? - Ebbene, anche le tue domande erano formulate in questo linguaggio; dovevano venire espresse in questo linguaggio, se c'era qualcosa da chiedere!

E i tuoi scrupoli sono fraintendimenti.

Le tue domande si riferiscono a parole; debbo pertanto parlare di parole.

Si dice: Ciò che importa non è la parola, ma il suo significato; e nel dirlo si pensa al significato come a una cosa dello stesso tipo della parola, anche se distinta da essa. Qui la parola, là il significato. Il denaro e la vacca che si può comprare con esso. (Ma per un altro verso: il denaro e la sua utilità.)

121.  Si potrebbe pensare: se la filosofia parla dell'uso della parola «filosofia», dev'esserci una filosofia di secondo grado. Ma non è affatto così; il caso corrisponde piuttosto a quello dell'ortografia, la quale deve occuparsi anche della parola «ortografia», ma non per questo è una parola di secondo grado.

122.  Una delle fonti principali della nostra incomprensione è il fatto che non vediamo chiaramente l'uso delle nostre parole. - La nostra grammatica manca di perspicuità. - La rappresentazione perspicua rende possibile la comprensione, che consiste appunto nel fatto che noi “vediamo connessioni”. Di qui l'importanza del trovare e dell'inventare membri intermedi.

Il concetto di rappresentazione perspicua ha per noi un significato fondamentale. Designa la nostra forma rappresentativa, il modo in cui vediamo le cose. (É, questa, una “visione del mondo”?)

123.  Un problema filosofico ha la forma: «Non mi ci raccapezzo».

124. La filosofia non può in nessun modo intaccare l'uso effettivo del linguaggio; può, in definitiva, soltanto descriverlo.

Non può nemmeno fondarlo.

Lascia tutto com'è.

Lascia anche la matematica com'è, e nessuna scoperta matematica può farla progredire. Un «problema-chiave di logica matematica» è per noi un problema di matematica, come qualsiasi altro.

125. Non è affare della filosofia risolvere la contraddizione per mezzo di una scoperta matematica o logico-matematica; essa deve invece rendere perspicuo lo stato della matematica che ci inquieta, lo stato della matematica prima della soluzione della contraddizione. (E con ciò non si elude la difficoltà.)

Il fatto fondamentale, qui, è che noi fissiamo certe regole, una tecnica per un giuoco, e poi, quando seguiamo regole, le cose non vanno come avevamo supposto. Che dunque ci impigliamo, per così dire, nelle nostre proprie regole.

Questo impigliarsi nelle nostre regole è appunto ciò che vogliamo comprendere, cioè, ciò di cui vogliamo ottenere una visione chiara.

Esso getta una luce sul nostro concetto di intendere. Infatti, in quei casi, le cose vanno diversamente da come avevamo inteso, previsto. Quando, per esempio, compare una contraddizione, diciamo appunto: «Io non l' ho intesa così»

Lo stato civile della contraddizione, o il suo stato nel mondo civile: questo è il problema filosofico.

126. La filosofia si limita, appunto, a metterci tutto davanti, e non spiega e non deduce nulla. - Poiché tutto è li in mostra, non c’è neanche nulla da spiegare. Ciò che è nascosto non ci interessa.

« Filosofia » potrebbe anche chiamarsi tutto ciò che è possibile prima di ogni nuova scoperta e invenzione.

127.  Il lavoro del filosofo consiste nel mettere insieme ricordi per uno scopo determinato.

128. Se in filosofia si volessero proporre tesi, non sarebbe mai possibile metterle in discussione, perché tutti sarebbero d'accordo con esse.

129.  Gli aspetti per noi più importanti delle cose sono nascosti dalla loro semplicità e quotidianità. (Non ce ne possiamo accorgere,- perché li abbiamo sempre sotto gli occhi.) Gli autentici fondamenti di una ricerca non danno affatto nell'occhio a chi vi è impegnato; a meno che non sia stato colpito una volta da questo fatto. - E questo vuol dire: ciò che, una volta visto, è il più evidente, e il più forte, questo non ci colpisce.

130. I nostri chiari e semplici giochi linguistici non sono studi preparatori per una futura regolamentazione del linguaggio, - non sono, per cosi dire, prime approssimazioni nelle quali non si tiene conto dell'attrito e della resistenza dell'aria. I giuochi linguistici sono piuttosto termini di paragone, intesi a gettar luce, attraverso somiglianze e dissimiglianze, sullo stato del nostro linguaggio.

131.  Soltanto cosi, infatti, possiamo evitare l'illegittimità o la vacuità nelle nostre asserzioni: prendendo il modello per ciò che è: termine di paragone, - si potrebbe dire per un regolo - e non idea preconcetta, cui la realtà debba corrispondere. (Il dogmatismo in cui si cade cosi facilmente facendo filosofia.)

132. Vogliamo mettere ordine nella nostra conoscenza dell'uso del linguaggio: un ordine per uno scopo determinato; uno dei molti ordini possibili; non l'ordine. A tale scopo metteremo continuamente in rilievo quelle distinzioni che le nostre comuni forme linguistiche ci fanno facilmente trascurare. Da ciò può sorgere l'apparenza che consideriamo nostro compito riformare il linguaggio.

Una siffatta riforma volta a determinati scopi pratici, come il miglioramento della nostra terminologia al fine di evitare fraintendimenti nell'uso pratico, è pienamente possibile. Ma non sono questi i casi con i quali abbiamo da fare. Le confusioni di cui ci occupiamo sorgono, per cosi dire, quando il linguaggio gira a vuoto, non quando è all'opera.

133. Non vogliamo raffinare o perfezionare in modo inaudito il sistema di regole per l'impiego delle nostre parole.

La chiarezza cui aspiriamo è certo una chiarezza completa. Ma questo vuol dire soltanto che i problemi filosofici devono svanire completamente.

La vera scoperta è quella che mi rende capace di smettere di filosofare quando voglio. - Quella che mette a riposo la filosofia, cosi che essa non è più tormentata da questioni che mettono in questione la filosofia stessa. - Invece si indica un metodo dando esempi; e la serie degli esempi si può interrompere.--- Vengono risolti problemi (eliminate difficoltà), non un problema.

Non c'è un metodo della filosofia, ma ci sono metodi; per cosi dire, differenti terapie.

308.  Come si arriva al problema filosofico dei processi e stati mentali e del behaviorismo? Il primo passo vien fatto del tutto inavvertitamente. Parliamo di processi e stati, e lasciamo indecisa la loro natura! Forse un giorno ne sapremo di più - pensiamo. Ma proprio mentre pensiamo così ci siamo impegnati per un determinato modo di considerare la cosa. Infatti abbiamo un concetto ben preciso di che cosa voglia dire: imparare a conoscere un processo più da vicino. (La mossa decisiva nel giuoco di prestigio è stata fatta, ed è proprio quella che ci sembrava una mossa innocente.) - Ed ora l'analogia che avrebbe dovuto renderci comprensibili i nostri pensieri vien meno. Dunque dobbiamo negare un processo non ancora compreso, che ha luogo in un mezzo non ancora esplorato. E cosi sembra che abbiamo negato i processi spirituali. E, naturalmente, non li vogliamo negare!

309. Qual è il tuo scopo in filosofia? - Indicare alla mosca la via d'uscita dalla trappola.

308.  Come una parola funzioni, non lo si può indovinare. Si deve stare a guardare l'impiego della parola, e imparare di li.

Però la difficoltà consiste nel mettere da parte il pregiudizio che ostacola questo apprendimento. Non è un pregiudizio stupido.

370.  Non già che cosa siano le rappresentazioni, ci si deve chiedere, o che cosa accada quando uno si rappresenta qualche cosa; bensì: Come si usi  la parola «rappresentazione» Ma questo non significa che io voglia parlare soltanto di parole. Infatti, nella misura in cui, nella mia domanda, si parla della parola «rappresentazione», viene anche messa in questione1'essenza della rappresentazione. E io dico soltanto che questa questione non può essere risolta - né per colui che ha la rappresentazione, né per un altro - indicando; e neppure dando la descrizione di un qualche processo. Anche la prima domanda richiede che si spieghi una parola; ma dirige la nostra aspettazione verso un tipo sbagliato di risposta.”

[PU, passim]

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