IL CONCETTO DI TEMPO IN HEGEL
Di Valerio Guagnelli Scanzani
Ultima revisione 5/6/99
SOMMARIO
Il tempo nella storia della filosofia 1
Aristotele: il tempo cosmico 2
Agostino: il tempo dell'anima 2
Paul Ricouer: Tempo e narrazione 3
Martin Heidegger: Tempo per_la morte 3
G.F.W.Hegel: Tempo come "Concetto che è là" 4
La questione sul tempo in Hegel è piuttosto complessa. Da una parte
egli è, infatti, uno degli autori più difficili da leggere, dall'altra non è
possibile in realtà comprendere il concetto di tempo in Hegel a prescindere
dalla comprensione di tutta la filosofia hegeliana, la quale elabora concetti
originali rispetto a tutta la tradizione filosofica occidentale, quali lo
Spirito, il Concetto, la Logica, e la Dialettica. Nella consapevolezza di
questi limiti si può muovere intanto da una esposizione del concetto di tempo a
prescindere da Hegel, presentando alcune delle più significative concezioni che
si sono susseguite nella storia della filosofia. Il nostro punto di arrivo sarà
quello di una duplice affermazione hegeliana secondo cui da una parte il concetto è tempo in quanto è nell'elemento dell'esser
là, e il tempo è il concetto in quanto essere determinato, ma d'altra parte il
concetto toglie il tempo, ovvero realizzandosi elimina il tempo. Allora
cosa è il tempo per Hegel?
Il
tempo nella storia della filosofia
Una questione che è stata posta all'origine dell'indagine filosofica, è
quella dell'essere o del non-essere del tempo. C'è chi a messo in discussione
l'essere del tempo, e questi sono stati soprattutto gli Scettici. Molte delle
riflessioni sul tempo sono state risposte alle loro argomentazioni. Qual è
dunque il topos dell'argomentazione
scettica contro il tempo? Il tempo non ha essere perché il futuro non è ancora,
il passato non è più e il presente non permane. Ma c'è un essere del tempo e
qual è? Proprio questa dimensione di profonda negatività del tempo è quella che
ha più profondamente ispirato la meditazione filosofica sul tempo. Perché da un
lato avvertiamo questo scorrere, dall'altro però noi parliamo del tempo come
qualcosa che appartiene all'essere (diciamo “le cose a venire verranno”, “le
cose passate sono state”, “quelle presenti passano”), cioè il passare non è un
nulla. Alla base di questa interrogazione c'è una percezione più profonda della
temporalità che è articolata in due momenti essenziali.
1) il tempo è
sentito come qualcosa che ci circoscrive, ci avvolge, e ci domina. Si è sempre
avvertito il carattere imperioso del tempo: l'uomo si sente soggetto al tempo e
sente il tempo come qualcosa che lo condiziona, e su cui non può far nulla, da
subire.
2) Accanto a
ciò il tempo è visto anche come ciò che logora, che invecchia, che genera
l'oblio. Esso è ciò che manda in rovina le cose, presiede al nostro morire, è
qualcosa che sembra riguardarci profondamente, come se fossimo noi a costruire
il tempo, e a misurarlo.
Già prima di Platone e Aristotele questa connessione segreta si trovava
nei cosiddetti antichi sapienti, i quali dicevano che tra il cambiamento —che
produce disfacimento e oblio, invecchiamento e morte— e il tempo, c'è qualche
nesso (così come anche il nesso tra la morte e il tempo è presente in tutta la
storia della filosofia). In questo modo originario della nostra condizione di
sentire il tempo c'è dunque questa duplicità, per cui esso sembra dominarci e
insieme il soggetto sembra intrinsecamente temporale. Le due posizioni
classiche possono essere riferite schematicamente a quelle di Aristotele e di
S.Agostino.
Aristotele:
il tempo cosmico
Aristotele è colui che con più chiarezza ha posto il problema del tempo
come dimensione cosmica e naturale (1). Il tempo è qualcosa che dobbiamo
cominciare a pensare a partire dal movimento degli astri, del sole. Egli dirà
che il tempo però non coincide col movimento. Perché per determinare la
velocità dobbiamo già sapere il tempo. Tuttavia il tempo ha a che fare col
movimento. La visione di Aristotele la ritroveremo nei posteri: p.e. Bergson
dirà che solo grazie ad una contaminazione con lo spazio il tempo diviene
misurabile. Se misuriamo il tempo attraverso il movimento cosmico, noi in
effetti lo misuriamo attraverso lo spazio, rappresentato dai movimenti degli
astri. Per Bergson questo sarà tuttavia solo il punto di partenza, visto che
per lui il tempo dovrà essere misurato in altro modo (cfr. Arist., Fisica, IV, 10-11; idem, De Corp., 7, 3).
Agostino:
il tempo dell'anima
Quest'altro modo è quello esposto già in precedenza (2) e con chiarezza
da S.Agostino (il quale tiene presente Aristotele, Platone, e i suoi
commentatori: gli scettici): se il tempo è qualcosa che varia, l'elemento fisso
che permette la comparazione tra i tempi che cambiano è la nostra anima, il
nostro Spirito. Quindi noi misuriamo il futuro a partire da un atteggiamento
del nostro animo, l'atteggiamento dell'attesa:
il futuro è più lungo o più corto in base all'attesa. E misuriamo il passato in
base ad un altro atteggiamento del nostro animo che è la memoria; anche il rapporto col passato varia secondo la memoria
(cfr. S.Agostino, Confessioni, XI, 20
e 28).
Quindi si capisce come alla riflessione sul tempo sia intrinsecamente
legato il problema del rapporto tra l'uomo e qualcosa che trascende l'uomo
stesso dominandolo; il problema del carattere naturalistico o soggettivo del
tempo e la sostanziale aporia tra queste due posizioni.
Alcuni sostengono che le due posizioni non hanno mai trovato una giusta
conciliazione, e che se il tempo rappresenta l' “Elena” dei filosofi, cioè
l'oggetto del contendere, della discordia per eccellenza, e forse il problema
filosofico più originale di tutti, è anche vero che la risposta a tale problema
resta aperta.
Anche oggi noi abbiamo interpretazioni naturalistiche del tempo (il
tempo della fisica contemporanea: della meccanica quantistica e della relatività
einsteiniana) e poi approcci soggettivi (per cui il tempo ha a che fare con
l'intimità della nostra coscienza, con la nostra capacità di essere affetti da
qualcosa, e di temere qualcosa, di progettare, di uscire da noi stessi, di
rivolgerci al futuro).
Paul
Ricouer: Tempo e narrazione
Egli scrive tre volumi intitolati “Tempo e Racconto” , in cui sostiene
che questa aporia del tempo, in cui il tempo è o soggettivo o cosmico, può
essere risolta solo dalla narrazione. Ovvero è il tempo del racconto, della mimesi,
dell'intrigo, della finzione, ciò con cui è possibile mediare queste due
istanze. Soltanto nella costruzione che è il racconto noi superiamo
l'alternativa tra tempo soggettivo e tempo oggettivo. Però la posizione di
Ricouer, oltre al fatto che in questi tre volumi la parte dedicata ad Hegel è
molto insufficiente (una visione molto banale della concezione hegeliana che
invece vedremo è fondamentale per capire il rapporto concetto-realtà in Hegel),
in modo molto grave egli però sottovaluta il ruolo e il lavoro di Heidegger sul
tempo.
Martin
Heidegger: Tempo per_la morte
Heidegger è stato colui che con più coerenza ha cercato di fare i conti
con tutte le concezioni del tempo a lui precedenti, da Platone, Aristotele,
Agostino, Pascal, Kant, Hegel. Sul tempo in Aristotele Heidegger tornerà molte
volte. Nel paragrafo 82° di “Essere e Tempo” egli commenta il concetto di tempo
in Hegel, per far notare come seppure il risultato delle rispettive riflessioni
sul tempo porti apparentemente ai stessi risultati, pure esse riflessioni si
differenziano molto. Importante poi è Husserl, il quale tenne delle lezioni
sulla coscienza interna del tempo, rispetto alle quali Heidegger è stato
addirittura l'editore, pubblicando il volume di Husserl intitolato “sulla
coscienza interna del tempo”.
Qual è, detto semplicemente, l'elemento caratterizzante, specifico
della visione di Heidegger, con cui egli pretende di distinguersi da tutta la
tradizione?
Allora, da una parte, nella concezione ordinaria del tempo, questo è
visto come una successione degli “ora” (ora non più, ora non ancora), abbiamo
quindi un'idea del tempo come del passare di un punto, o dell'elemento
puntuale, che è l'ora. Il tempo allora è qualcosa di lineare, scorre, è il
tempo dell'orologio. Questa concezione del tempo sta per Husserl dentro ad
Aristotele, alla filosofia, in quanto i filosofi non hanno superato il
predominio dell'ora. Anche Agostino infatti riesce a elaborare il suo discorso
a partire dall'ora, da cui riesce poi a scoprire le connessioni, memoria e attesa,
di questo ora con il passato e il futuro. Dall'altra parte Heidegger comincia a riflettere sul fatto che il tempo è sempre tempo
per fare qualcosa, è “tempo-per...”; cioè sempre pensato a partire dal fare
dell'uomo, da ciò di cui si prende cura, dal suo agire nel mondo. Il tempo
è sempre determinato da questo atteggiamento dell'uomo nel mondo. Allora non
c'è più un'idea astratta di tempo, ma c'è invece il fatto che l'esistenza umana
è fatta di “tempo per fare qualcosa”. Questo è il primo spetto che egli cerca
di sottolineare.
Un altro aspetto è quello per cui la vera essenza del tempo è
rintracciabile nella morte. Non la morte come evento, però, come quel fatto per
il quale un uomo ad un certo punto muore, ma la morte come la possibilità
suprema dell'uomo, come quel suo destino ineluttabile, che però non è pensata
astrattamente, ma è sempre la “mia” morte. Il tempo allora va pensato proprio a
partire da questa possibilità intrinseca all'uomo che è la morte. Cominciando a
riflettere su questo, Heidegger stabilisce che il momento più importante del
tempo è il futuro, l'avvenire, perché la morte è una cosa che sta sempre
davanti a noi. Da qui Heidegger ricava che se c'è un nesso tra morte e tempo è
chiaro che il tempo diventa tempo finito: il tempo coincide con la
finitezza, con l'esser finito dell'uomo (e l’infinità del tempo si costituisce
per contrasto). Heidegger ha allora questo di interessante: che sulla base del
fatto che il tempo è legato alla finitezza dell'uomo, egli reinterpreta tutta
la storia della filosofia (che poi è il tentativo di accedere al tempo eterno,
slegato dalla morte) come una sorta di fuga dall'assumere che invece il vero
fondamento è la morte e la temporalità finita dell'uomo. Tutta la filosofia
precedente è un tentativo di costruire dei mondi intelligibili, eterni,
necessari, sovratemporali; è costruita sulla distinzione essere-divenire, dove
il divenire è ciò che è e non è, e l'essere è ciò che è, che permane, che è
costantemente presente. Tutto ciò va ricondotto e spiegato a partire dal
rapporto non chiaro che gli uomini dall'inizio hanno avuto con la propria
morte. Il vero fondamento della filosofia non devono essere questi principi
sovratemporali ed eterni, ma questo principio temporale che è la morte, che è
un fondamento che si “sfonda”, o come dice Heidegger “il fondamento è abisso”,
perché ciò che ci permette di capire l'intera storia della filosofia è qualcosa
che riguarda l'uomo nella sua massima dignità, il rapporto dell'uomo con se
stesso, con la propria morte, il fatto che “nessuno può assumersi la morte di
un altro”, il fatto che la morte è una possibilità insuperabile. La morte è ciò
che differenzia gli uomini, in quanto li specifica nella loro singolarità. È lo
sforzo di pensare il tempo a partire dall'esistenza umana, così esso diventa la
struttura stessa dell'esistenza degli uomini, che è esistenza finita.
G.F.W.Hegel:
Tempo come "Concetto che è là"
Diciamo subito che per Hegel il tempo come concetto non è perfetto in
sé medesimo. Un primo punto fermo è questo: è impossibile comprendere il tempo
partendo dai momenti dello Spirito: i momenti abbiamo detto, sono i momenti
extratemporali. Essi sono l'articolazione logica dell'intero (nella Fenomenologia dello Spirito [Ed. Nuova
Italia, trad. De Negri, 1993] =FdS):
“Coscienza”, “Autocoscienza”, “Ragione”, “Spirito”, “Religione”, “Sapere
Assoluto”) non sono una successione temporale. Un altro punto importante è che
il tempo è omogeneo alla struttura della coscienza. Tra la coscienza e il tempo
vi è una coincidenza. Quindi il cammino fenomenologico, che è il cammino della
coscienza, è un cammino temporale. Questa coincidenza tra la coscienza e il
tempo è affermata esplicitamente da Hegel quando dice che la coscienza è
l'esserci dello Spirito, e altrettale è il tempo che è l'esserci del concetto.
Dice esattamente a pag. 298 della FdS:
"il tempo è il concetto
medesimo che è là"; significa che il Concetto è nell'elemento dell'esserci,
dell'esistenza, quindi il tempo è il concetto che si è esteriorizzato. Come la
coscienza si rapporta a qualcosa in quanto la distingue da sé come altro —si
tenga presente la struttura della coscienza che è distinzione da sé di un
oggetto e poi rapportamento— anche il tempo ha una struttura del genere per
Hegel. Anche il tempo è alterità e rapporto con esso, anche il tempo è
differenza e superamento della differenza, questo lo vedremo meglio. Intanto
però un punto deve essere fermo: la coscienza è nel tempo, la coscienza è
tempo, ma la coscienza non comprende il tempo. Questa è un'altra cosa molto importante
perché questa sovrapposizione di coscienza e tempo non porta Hegel ad una
visione alla Kant, o alla S.Agostino secondo cui il tempo è distensione
dell'anima, la quale è l'unica misura del tempo. Non c'è una soggettivizzazione
del tempo in questa uniformità di coscienza e tempo in Hegel. E non è neanche
la posizione di Kant che il tempo è qualcosa di ideale. Noi praticamente nel
tempo siamo affetti in modo temporale dalle cose fuori di noi. Quindi diciamo
che il tempo è senza interno, è la forma a priori della sensibilità nel senso
che noi siamo affetti dalle cose una dopo l'altra, che la successione è uno dei
modi (accanto alla giusta posizione) del nostro essere affetti dal mondo fuori
di noi, però riguarda la struttura della sensibilità umana. Non è neanche
questa la visione di Hegel.
Tutta la sua cogenza si misurerà sul fatto che la concezione del tempo
serve a fondare la concezione della storia. Ma tra tempo e storia che rapporto
ci può essere? Una certa concezione del tempo può servire a costruire una certa
concezione della storia, oppure diventano due concezioni banali, la storia
diventa così il grande contenitore degli eventi umani? o cosa? Hegel invece è
uno di quelli che penserà alla storia a partire dal tempo.
Sulla base di questa visione, che troviamo qui approfondita nella FdS
per cui il tempo è il concetto che è là, il concetto nell'esistenza esterna etc.,
noi possiamo arrivare a capire qual è per Hegel questo rapporto tra concetto e
tempo, questo rapporto tra Spirito e tempo.
Qui dunque parla di concetto e tempo, ma per Concetto si deve intendere
la Scienza e ora vedremo anche questo cosa significa poi questa Scienza che si
va a costruire, il rapporto tra sapere apparente - sapere reale, per cui
appunto la Scienza sovratemporale è anche sempre temporale, questo è il
problema no? La coscienza è nel tempo, ma non comprende il tempo, una cosa che
Hegel dice molto chiaramente:
"soltanto lo Spirito
nella sua intierezza è nel tempo", FdS pag. 201 ;
allora la coscienza è nel tempo, ma non comprende il tempo: per
comprenderlo bisogna innalzarsi al punto di vista della totalità. Solo nel
compiersi del tempo si comprende il tempo e allora cominciamo a vedere come si
articolano queste due affermazioni apparentemente contraddittorie di Hegel: il
concetto è tempo, e il concetto toglie il tempo, lo abbiamo trovato nella
famosissima affermazione hegeliana per cui:
"il tempo è il concetto
medesimo che è là perciò lo Spirito appare necessariamente nel tempo, appare
nel tempo fintanto che non coglie il suo concetto puro, vale a dire finche non
elimina il tempo", p.298;
da un lato il concetto esteriorizzato, estrinsecato si temporalizza, si
fa tempo, dall'altro il concetto supera questo suo esteriorizzarsi, e in questo
suo estrinsecarsi il concetto che si compie o lo Spirito che perviene a sé
stesso è un'eliminazione del tempo.
Nel sapere assoluto lo Spirito si manifesta e si esteriorizza nel
tempo; e la scienza —e questo è importante da capire, vista questa omogeneità
tra la coscienza e il tempo —come lo Spirito, si esteriorizza nel tempo, così
la scienza appare attraverso la coscienza. Tutto il discorso che si può leggere
nell'introduzione della FdS. La scienza deve apparire, deve sorgere, ha un
movimento, uno sviluppo, questo movimento e sviluppo della Scienza non è altro
che il cammino della coscienza. E allora, come nel suo compiersi la coscienza
si rivela Spirito, cioè in questo cammino della coscienza alla fine essa si
rischiara a Spirito, così nel momento in cui la coscienza arriva alla fine elimina
sé come coscienza, elimina sé come differenza, (perché nel sapere assoluto non
abbiamo più il punto di vista della coscienza, del dualismo e della
differenza), nello stesso modo avviene per il tempo:
"Il tempo appare il destino
e la necessità dello Spirito che non è perfetto in sé medesimo" p.298.
La cosa fondamentale da fissare per capire questa articolazione è che
Hegel ragiona come tutti i filosofi per essenza ed apparenza però in realtà ha
una idea di essenza e apparenza assolutamente originale che fa la sua
grandezza. Hegel parla di essenza e di apparenza: lo Spirito è l'essenza della
coscienza, la coscienza è l'apparenza dello Spirito, il tempo è l'apparenza del
concetto, il concetto è l'essenza del tempo. Però quello che è importante non è
la giustapposizione dualistica tra questi due termini perché sé tra tempo e
concetto ci fosse un dualismo estrinseco avremmo le posizioni alla Parmenide,
tutte quelle posizioni che separano in modo dicotomico e rigido l'eterno dal
transeunte. Qui invece abbiamo una certa visione dell'eterno che si fa
transeunte per poi ritornare a sé. Questo rapporto tra essenza e apparenza è un
legame intrinseco e dinamico di opposizione. Lo Spirito è l'essenza della
coscienza, ma anche il suo opposto; così il concetto è l'essenza del tempo, ma
anche il suo opposto: la logica dialettica di Hegel serve a pensare proprio
questo nesso di opposti che qui abbiamo nella sua dimensione più generale e
onnicomprensiva perché appunto lo Spirito è l'essenza della coscienza ma anche
il suo opposto. Lo Spirito è l'assoluto la coscienza è relativo, lo Spirito è
unità la coscienza è distinzione; quindi tra coscienza e Spirito c'è un
rapporto di essenza e apparenza però c'è anche un rapporto di inversione, di
opposizione.
Questo permette ad Hegel di dire una cosa molto interessante: il
concetto come eternità è quiete rispetto al tempo come movimento. Allora mentre
il tempo è movimento e sviluppo, il concetto come eternità è quiete; quindi
abbiamo da un lato l'irrequietezza della vita il movimento dall'altro abbiamo
il superamento della temporalità, il compiersi, il totalizzarsi, il momento in
cui lo Spirito si sa come il tutto. Nella scienza della logica abbiamo questa
quiete.
Quindi la filosofia ha certo il compito di sorpassare il tempo, questo
compito millenario appunto di uscire dal tempo. Questo compito che Heidegger
interpreta come paura del passare, come paura di quel carattere onniavvolgente
e dominante del tempo che è il signore dell'invecchiamento, dell'oblio, della
dissoluzione, della morte e della rovina. Hegel era rimasto molto colpito da un
libro di E.Gibbon [1] sul declino dell'impero romano e ha cominciato
a riflettere su questa idea del declino e anche come tutti gli autori della
nostra tradizione sente il tempo come ciò che porta la morte e l'oblio, la
distruzione e il logoramento. La filosofia dovrebbe essere un uscire dal tempo:
la conquista di un mondo dell'identico, dell'eterno. Però la filosofia
hegeliana intende questo uscire dal tempo in un modo molto specifico; questo
sorpassare il tempo non è un salto in strutture intelligibili eterne a sé
stanti ma è anche un restare nel tempo. E' un superare il tempo restando nel
tempo perché questa concezione hegeliana abbiamo visto implica sia il
temporalizzarsi del concetto nello Spirito, il tempo non è altro che il
concetto, e anche il togliersi dal tempo. Questo fatto della paura del tempo
legata alla profonda negatività che c'è nel tempo, per cui il tempo è o non è,
questa negatività del tempo è vissuta soprattutto in funzione del futuro [2].
Vediamo meglio in che senso il tempo e la coscienza possono essere
sovrapposti e quello che Hegel ci dice sul tempo in alcuni paragrafi dell'Enciclopedia dove parla dello
spazio e del tempo; sono i paragrafi della “Meccanica” nella “Filosofia della
natura”. Il tempo viene definito in questo modo molto perspicuo:
"Il tempo è il
passaggio da una differenza indifferente immobile ad una differenza capace di
escludere" (par. 258);
Una differenza indifferente immobile è lo Spazio: nello spazio abbiamo
una molteplicità di punti, e il punto che cos'è: è qualcosa di differente dagli
altri punti, ma è una differenza indifferente perché nel punto abbiamo
certamente molteplicità e quindi differenza, ma tutti i punti sono eguali,
livellati, omogenei. Quindi diciamo che Hegel deduce il tempo dallo spazio.
Parte dallo spazio, cioè dalla giustapposizione dei punti, dal fatto che i
punti sono queste differenze indifferenti e quindi semplice giustapposizione, e
arriverà a dire che l' “ora”, il punto temporale, è —al contrario dello spazio
- una differenza capace di escludere perché l'ora si differenzia da questo e da
quello, l'ora non è più questo non è ancora quello; quindi nell'ora abbiamo
un'autoporsi, un distinguersi da qualcos'altro. Anche nella struttura dell'ora
abbiamo questa distinzione. Quindi questa differenza e questa alterità, che è
anche superamento della differenza e alterità, può in qualche modo coincidere
con la coscienza. Che conseguenze si possono trarre? Da tutto ciò -nel momento
che Hegel ci dice che il tempo è il concetto che è là- si può capire che
l'estrinsecità temporale, quindi la realtà, in qualche modo è già sapere, ma lo
è intrinsecamente, non consapevolmente (n.b. anche l'esserci di Heidegger è già
sempre nella verità, ma non lo sa, e anche l'analisi esistenziale in un certo
senso procede a “spirale”).
Abbiamo visto tante volte che per la coscienza quella distinzione è il
superamento della distinzione, quel distinguersi e rapportarsi per la coscienza
è il travaglio del negativo, è il continuo dileguare delle varie posizioni, è
tutto il cammino della fenomenologia. Questo travaglio del negativo inoltre è
anche il trionfo del vero dice Hegel a pag. 37 della FdS, dove riprende questo
tema del tempo. Quindi finché resta qualcosa di finito, di isolato,
coscienziale, opponentesi, questo momento del distinguere e del rapportare
(ritornare) è continuamente soggetto a dileguarsi, ma nella totalità questa
pura libertà rispetto ad altro -che Hegel indica come la caratteristica del
tempo- è l'assoluto stesso, è la coincidenza oltre la distinzione. E' come sé
Hegel dicesse che tutta la realtà è fatta di distinzione e di superamento della
distinzione. Finché questa distinzione e superamento della distinzione è
qualcosa di finito: noi abbiamo un continuo mutamento, un continuo sviluppo, un
continuo cambiamento. Ma quando questo mutamento e distinzione si compie nella
totalità allora abbiamo l'autocoincidenza, la quiete. Quindi non c'è una
diversità strutturale tra lo Spirito, L'Assoluto e la coscienza; sono fatti
nello stesso modo però l'uno è finito e l'altro è infinito. Finché ci si muove
nella coscienza, nel finito, abbiamo il dileguare il movimento, ma alla fine
del processo abbiamo il compiersi e il realizzarsi del tutto. C'è una frase
molto chiara dell'impostazione Hegeliana portato da Rosenckranz, biografo di
Hegel:
"Questa conoscenza di
assorbire in sé tutta intera l'energia e il dolore dell'opposizione che per due
millenni ha governato il mondo e tutti gli aspetti della sua formazione e di
sollevarsi allo stesso tempo al di sopra di tale energia può essere offerta
solo dalla filosofia" pag. 159;
Quindi la filosofia è sia questo andare oltre questa energia del dolore
e dell'opposizione sia nel tenerne conto. La filosofia deve stare in qualche
modo sia dentro questo dolore che è il tempo, il luogo dell'opposizione, i cui
termini sono interdipendenti e si danno senso reciprocamente, sia essere capace
anche di totalizzarlo cioè di vederlo nel suo insieme e quindi di superarlo.
Certo questa concezione di Hegel può essere
interpretata (ma può anche non esserlo, Hegel non lo dice sia chiaro) come il
divenire uomo di Dio (è comunque sempre bene evitare di intendere “Dio” nel
senso più precipuamente religioso): questo concetto che si temporalizza, questo
infinito che si fa finito è il Dio che entra nel mondo. Quindi Dio non resta
estraneo alla storia del mondo ma vi entra. In questo modo cosa si conquista?
Si conquista una cosa molto importante: che il tempo e quindi anche la storia
sono dotati di senso; gli eventi le circostanze gli accadimenti non sono
qualcosa di vano di casuale di completamente vulnerabile e accidentale. Il
problema del legare tempo ed eterno è il problema di legare l'accidentale al
necessario, quello che appare assolutamente contingente e casuale a ciò che è
la fonte del senso. E' importante capire questo: Hegel è consapevole e
definisce la storia "il banco del macellaio". Egli sa che la storia
può essere nient'altro che una serie di rovine e di nonsensi e può essere il
luogo dell'assurdo. Quante definizioni moderne della storia ci dicono che la
storia è l'assurdo. Vari autori hanno sottolineato questo carattere di
insensatezza della storia. Hegel in base a questa concezione può tentare di
legare il non senso degli avvenimenti della contingenza, di ciò che è
accidentale, con il senso. Gli avvenimenti in questo modo assumono significato:
se gli avvenimenti, cioè il temporalizzarsi, sono l'estrinsecarsi del concetto
e il venir meno dello Spirito, essi assumono allora significato. Ma in questo
modo non assumono significato solo gli avvenimenti, ciò che è particolare:
assume significato anche Dio, assume significato anche la totalità. Il mondo
diventa capace di farsi storia, esce da una occasione che può essere mistica;
al limite ineffabile. Tempo e riflessione sono allora questo procedere graduale
dalla certezza di sé alla consapevolezza di sé. Questo tutto che si manifesta
nel tempo, questo tutto che si fraziona nella serie temporale, questo senso
ultimo che si traduce negli avvenimenti del mondo è un tentativo che fa Hegel
appunto per mediare ciò che appare privo di significato e che invece è il
fondamento ultimo.
NOTE
1] Edward Gibbon 1737-1794 uno dei maggiori storici
inglesi.
2] la Preveggenza. Un discorso filosofico su questo
potrebbe vedere l'ansia rispetto al futuro e quindi una certa spiegazione del
tempo che fa si che l'uomo cerchi il tempo nella sua coscienza, nella sua
interiorità: è un modo per esorcizzare la paura del tempo. Dall'altro c'è tutto
il discorso sulle interpretazioni che poi il linguaggio dell'oracolo il
linguaggio della divinazione è sempre un linguaggio ambiguo che va
interpretato. Tutta l'ermeneutica nasce lì, nasce dal problema
dell'interpretare. I quattro livelli dell'interpretazione dei testi sacri si
ricollegano anche a questo. Si tratta di interpretare qualcosa che è
profondamente polisemico, ambiguo che insomma può essere interpretato
all'infinito. E quindi tutte quelle giustificazioni delle premonizioni possono
essere sempre giustificazioni ad hoc che si battono sul fatto che poi questa
interpretazione è sempre aperta.