appunti

 

 

Husserl-Heidegger

Elementi separanti

 

 

 

·        Husserl criticherà Heidegger per il suo antropologismo, e Heidegger criticherà Husserl per il suo teoreticismo e trascendentalismo.

·        La distanza è posta tra la “coscienza” husserliana e l’Esserci di Heidegger quale radicalizzazione di quella. Il dibattere verte quindi sulla questione del “soggetto trascendentale” retaggio del cogito cartesiano.

·        Anche la questione del “metodo” è oggetto del contendere, poiché è strettamente connesso col contenuto: il soggetto e il mondo.

·        Entrambi tuttavia, si può notare seguendo l’evoluzione dei rispettivi pensieri, convergono a una soluzione paradossale della soggettività. Anche se sembra che l’ultimo Husserl sia stato influenzato da Heidegger (si veda a riguardo il concetto di “mondo-della-vita”)

·        Entrambi annunciano il loro intento di dirigersi, con la loro ricerca, alla “cosa stessa” (die sache selbst). Ma è proprio sul significato di essa che le due opinioni divergono. Heidegger appunta la sua critica sull’analisi trascendentale e sui suoi presupposti fenomenologici: tempo, verità, fenomeno (cosa stessa), ma soprattutto su Soggetto, l’idea di Mondo, il concetto di trascendentale, la Riduzione.

·        HEIDEGGER

·        Riferitamente all’ontologia, si innesta sulla carenza ontologica della fenomenologia di Husserl. Fenomenologia indica il metodo e ontologia indica il contenuto. Ma ora questa non è più subordinata e derivata da quella (e dal metodo eidetico), ma la fenomenologia diventa, è ontologia. Heidegger intende muovere verso un concetto d’essere che superi la metafisica tradizionale, mentre per lui il concetto d’essere husserliano è inteso proprio in quel senso. Anche ammettendo che la riduzione (l’epoché) non sia un mero rimaneggiamento dell’operazione egologica cartesiana questa concezione metafisica dell’essere si traduce in un limite del metodo utilizzato “di fatto” da Husserl.

·        L’Esserci (l’uomo) di Heidegger rappresenta una metamorfosi esistenziale radicale della “coscienza intenzionale” di Husserl. Il trascendentalismo di Husserl viene rivitalizzato dall’aspetto mondano della soggettività. La rielaborazione della fenomenologia e ontologia all’interno di una filosofia dell’alterità conferisce una connotazione etico-pragmatica (nel senso di prassi) al soggetto. La dimensione esistenziale constituirebbe così l’allargamento di senso, un superamento del razionalismo della costituzione fenomenologica husserliana

·        HUSSERL

·        Accusa i suoi allievi, tra cui Heidegger, di essere ricaduti dalla purezza della fenomenologia al realismo e all’antropologismo. L’impostazione di Heidegger che affronta il problema delle radici antiche (esistentive) dell’indagine ontologica (esistenziale) dell’ente chiamato uomo, appare ad Husserl inadeguata a fondare una “conoscenza assoluta”. Per Heidegger infatti l’uomo è sempre legato all’esistenza, esiste e quindi ogni indagine che parte dall’uomo non può prescindere, come vorrebbe Husserl, da un’analisi esistenziale. Una tale trasformazione dell’ego nell’Esserci è per Husserl filosoficamente oscura e inaccettabile. Laddove Husserl “purifica”, Heidegger “sporca” con elementi mondani (a giudizio di Husserl).

·        Tuttavia non bisogna leggere Heidegger secondo l’idea di «traduzione», suggerita da Husserl stesso, dei concetti fenomenologici in quelli ontologico-fondamentali. Se interpretiamo il passaggio da Husserl ad Heidegger come un semplice trasferimento di concetti da un piano coscienzialistico a uno esistenzialistico, come se l’esserci umano non sia altro che una «concretizzazione» dell’astratto concetto di coscienza di Husserl, fraintendiamo entrambi i pensatori. L’essenza umana è pensata da Heidegger in modo radicalmente diverso. La filosofia di Heidegger non può essere ridotta ad antropologismo in quanto nell’idea di una costituzione d’essere di un ente che esiste (l’Esserci= l’uomo), nell’idea di esistenzialità, si trova già sempre l’idea di essere. D’altra parte anche un’analisi esistenziale dell’essere dell’esserci non può prescindere da un’analisi del senso dell’essere in generale. Sarebbe quindi errato parlare di eliminazione tout court della trascendenza o della metafisica da parte di Heidegger, a meno di non intenderle nel senso classico e cartesiano.

 

 

Secondo Husserl la fenomenologia conduce ad una «ontologia universale» a partire dalla «originarietà trascendentale». Ma questi sono termini che suonano all'orecchio di Heidegger alquanto falsi, ovvero non autenticamente antimetafisici, come sembra annunciare Husserl. Ecco perché egli si ostina a vedere nella fenomenologia un ipotecante residuo metafisico. Il nucleo della fenomenologia ha a che vedere con il discorso della metafisica: la riduzione conduce, di necessità, ad un'immagine evocatrice del fantasma filosofico: 1'ego, fonte di equivoco e di oblio. Teniamo ferme le quattro tematiche di fondo: soggetto, mondo, «trascendentale» e «riduzione». Vediamo innanzitutto un passo husserliano: «[la mia impostazione del problema] esige la riduzione al piano di validità che presuppone questo problema come tale: la soggettività pura in quanto fonte del senso e della validità. Io non ho dunque, in quanto fenomenologo trascendentale, il mio ego come psiche, parola che già presuppone nel suo senso un mondo essente o possibile, ma possiedo quell'ego trascendentalmente puro in cui anche questa psiche, con tutto il suo senso trascendente, ottiene, a partire da nascoste operazioni di coscienza, il senso e la validità che essa ha per me». Solo grazie alla riduzione trascendentale – dice Husserl – il filosofo può raggiungere puntualmente 1'elemento originario. La soggettività pura, demondificata, si svela solo mediante 1'epochè. Porre in discussione quest'ultima significa permettere, ancora una volta, al fondamento trascendentale di eclissarsi».

E proprio su questo gioco di rischiaramenti ed eclissi si insinua il sospetto di Heidegger: «ma all'essenza dell'ego puro non appartiene forse un mondo in generale? Non manca forse alla fenomenologia 1'attenzione per la totalità concreta dell'uomo? Quell'ego puro e ancora il mio stesso io? Questo si chiede Heidegger, e mentre risponde negativamente, Husserl confonde ancor più le carte: si e no, dice; «1'ego ridotto è certamente il mio io nella totale concrezione della mia vita [...] ma è anche il presupposto assoluto per qualsiasi trascendenza per "me" valida».

Ma, obietta ancora Heidegger, come può il soggetto fattuale perdere i suoi contorni esistenziali e fisici, arrivare all'ego puro ed essere ancora «nella totale concrezione della vita»? Il paradosso fenomenologico si mostra in tutta la sua problematicità. La sequenza: epoché, soggettività trascendentale, vita nel senso più completo (vita filosofica) non è più così scorrevole quando la si osserva con la lente di Heidegger: il soggetto che attua la riduzione è uguale al soggetto trascendentale che con la riduzione viene scoperto? L'ambiguità husserliana, che tuttavia rappresenta 1'unico modo per pensare «fenomenologicamente», viene dissolta: certo, il soggetto, l'Esserci (leggi l’uomo), non è divisibile al pari di un concetto o di qualsiasi altro ente. Il mistero della soggettività non è indagabile per via chirurgica: il senso del suo essere va colto a partire dall'essere stesso.

«È in questo modo [mediante la riduzione] che io posso e devo ottenere – scrive ancora Husserl – perfino la mia attività psicologica, il mio intero lavoro scientifico, in breve, tutto ciò che mi è inerente in maniera pura dal punto di vista soggettivo. Ma nell'abitualità dell'atteggiamento psicologico, che noi definiamo la positività di tale atteggiamento, risiede appunto il fatto che [...] viene realizzata 1'appercezione del mondo». E Heidegger esclama: «Semplicemente presente! Ma 1'Esserci umano «è» tale che, sebbene sia un ente, non e mai solo semplicemente presente». Così appare a Heidegger il soggetto husserliano, privo di quella densità esistenziale che in seguito tanto avrebbe affascinato. Dove Husserl si concentra per rendere la «cosa stessa» più trasparente possibile, Heidegger riscontra uno spessore imponente.

Osserviamo di nuovo il metodo di Husserl: 1'atto della riduzione coinvolge 1'individuo in un processo infinito, che si snoda nel modo seguente: «la caratteristica di principio della riduzione trascendentale è sia il fatto che essa, anticipatamente e d'un sol colpo, in una volontà teoretica universale inibisce questa ingenuità trascendentale, che ancora domina nella psicologia pura; sia il fatto che con questa volontà essa abbraccia 1'intera vita attuale e abituale: questa volontà impone di non far agire alcuna appercezione trascendente, alcuna validità trascendente (l’esperienza naturale di un oggetto “fuori di noi”), ma di «metterle fra parentesi» e di prenderle solo per ciò che esse sono in se stesse, in quanto cioè appercepire soggettivo in senso puro, intenzionare, porre in validità ecc. Se io faccio la stessa cosa verso me stesso, allora io non sono un io umano sebbene io non perda nulla del contenuto essenzialmente proprio della mia psiche pura (nulla dunque del mio insieme psicologico in senso puro). Ciò che è posto fra parentesi è solo quel porre-in-validità che io avevo realizzato nell'atteggiamento espresso dalle proposizioni «io, quest'uomo» e «la mia psiche nel mondo»; non però  questo porre e questo avere-in-validita in quanto Erleibnis». «Questa è – osserva Husserl –, nel mio pensiero, la via per giungere ad una psicologia intenzionale della personalità nel suo senso più ampio a partire dalla vita mondana personale: per giungere cioè a un tipo personale fondante. Io ho contrapposto alla concezione naturale del mondo collocata nella vita mondana naturale (ovvero entro questa stessa vita) la concezione filosofico-trascendentale del mondo, e quindi una vita che non e naturalmente un vivere-dentro il mondo già valido ingenuamente e neppure un avere-in-validità ingenua se stessi in quanto uomini, ma è 1'idea di una vita filosofica, determinata a partire dalla filosofia».

All'enunciato husserliano «io non sono un io umano», Heidegger contrappone: «o forse io sono proprio tale, nella sua più autentica, meravigliosa, possibilità di esistenza». Poco prima Heidegger aveva già messo in evidenza, con una semplice domanda, l'incerto equilibrio fra l'uscir fuori da se stessi, operando L'epoche, e il rimanere soggetti concreti: la riduzione «abbraccia – scrive Husserl – l'intera vita [...] con questa volontà», e Heidegger chiede: «E questa volontà stessa?». Qual è la sua natura, qual è la sua origine, il suo luogo e il suo destino? Il suo profilo, insomma, va riconosciuto in quello del soggetto o è la silhouette di una presenza estranea? A questo interrogativo si riallaccia il successivo quesito di Heidegger. Riferendosi sempre all'espressione husserliana «io non sono un io umano», egli aggiunge: «Perché no? Questa attività [la riduzione] non è una possibilità dell'uomo ma, appunto perché quest'ultimo non e mai semplicemente-presente, è un comportamento, vale a dire un modo d'essere che egli per sua natura procura appunto a se stesso, e che dunque non appartiene mai alla positività della semplice presenza». È possibile, ma ancor più, è necessario contrapporre io puro e io umano, considerando l'uno esclusione fenomenologica dell'altro? Rispondere negativamente significa porre in discussione la tematica centrale della fenomenologia. «La riduzione trascendentale rappresenta una sorta di variazione dell'intera forma di vita, che sale più in alto di tutte le esperienze vitali che si sono date fino a quel momento, superandole completamente».

Husserl è esplicito: la rottura fenomenologica non è paragonabile ad alcuna esperienza precedente. Ma secondo Heidegger si tratta di una «ascesa nel senso di un salire che rimane tuttavia "immanente"; si tratta cioè di una possibilità umana, in cui 1'uomo perviene proprio a se stesso». L'Umdeutung fenomenologica, il ripensamento e la riscrittura del rapporto soggetto-oggetto non farebbero altro che trasformare in senso trascendentale tutto l'insieme degli enti positivi. «Tutto – scrive Heidegger–, lo stesso ambito psichico e 1'ente (il mondo) che in esso si costituisce», viene reinterpretato trascendentalmente. Heidegger è critico: la riduzione non lo convince. C'e qualche cosa che non può venire ridotto; questo qualcosa è l'essere.

In effetti, la polemica che si sviluppa nell'ambito della tormentata collaborazione per la stesura della voce “fenomenologia” dell’enciclopedia Britannica, per quanto riguarda Heidegger, è centrata essenzialmente sul problema dell'essere. «Tutto – dice Heidegger – ruota attorno al concetto di “è”. Secondo Husserl il termine "è" rappresenta un sinonimo di essente mondano, e poiché tutto 1'ambito mondano deve essere messo fra parentesi, anche il concetto di "è" deve essere posto fra parentesi. [...] Heidegger critica fondamentalmente la non-differenziazione husserliana dell' ”è”», perché in tal modo Husserl riduce il problema ontologico a mero oggetto della fenomenologia.

Come mette in evidenza in una lettera, a partire da una certa armonia di vedute, si sviluppano differenze sostanziali. «Concordo – scrive Heidegger – sul fatto che l'ente inteso nel senso di ciò che Lei definisce "mondo", non può essere chiarito nella sua costituzione trascendentale mediante un regresso ad un ente che abbia un identico tipo di essere. Tuttavia questo non significa che ciò che stabilisce il luogo del trascendentale non sia in generale un ente, anzi, è proprio qui che sorge il problema: qual è il modo di essere dell'ente nel quale il "mondo" si costituisce? Questo è il problema centrale di Essere e tempo: quello di un'ontologia fondamentale dell'Esserci. Si tratta di mostrare che il tipo di essere dell'Esserci umano è totalmente diverso da quello di tutti gli altri enti e che esso, in quanto tale, racchiude in sé la possibilità della costituzione trascendentale». Dell'uomo, Heidegger nega la semplice presenza, l’uomo non può essere considerato alla stregua di una semplice cosa, e dunque nega la possibilità di essere posto fra parentesi, come invece vorrebbe Husserl: «1'uomo concreto come tale, come ente, non e mai un "fatto mondano reale", poiché non e mai solo semplicemente presente, ma esiste». Attorno a questa proposizione avversativa si sviluppa l'intero discorso heideggeriano.

Con la critica di Heidegger alla ripresa dell’ontologia cartesiana, Husserl si vede accusata la sua fenomenologia di essere ontologia tradizionale-metafisica del mondo, e ritiene che essa sia stata aggredita da nuove tendenze antropologico-filosofiche. «Si deve, quindi – afferma amareggiato – poter prendere una decisione di principio scegliendo fra antropologismo e trascendentalismo». Anche se con la elaborazione di nuovi concetti della maturità (mondo-della-vita), Husserl fa implicitamente trasparire che forse il discorso di Heidegger ha un qualche fondamento, egli tuttavia ha ormai assunto un atteggiamento difensivo scaturito dalla intima esigenza di dover respingere quella che lui considera «l’oscura mistica della filosofia dell’esistenza».