L’idealismo Romantico di F.Schlegel

di Valerio Guagnelli Scanzani

 

 

 

 

SOMMARIO

I Frammenti: Lyceum e Athenaeum.

Introduzione.

Sullo studio della poesia greca.

I Frammenti.

La poesia romantica.

La forma dell’IO

Escatologia e Utopia

Il concetto romantico di ironia.

Riflessione

Il Tempo.

Il Frammento.

L’Arabesco.

I contemporanei di Schlegel.

L’Ars Combinatoria.

L’Ironia

L’ironia riguarda il peculiare rapporto che il poeta romantico ha con la sua opera.

L’ironia riguarda l’opera d’arte in quanto tale; la struttura immanente dell’opera.

L’ironia infine riguarda l’atteggiamento del critico.

 

I Frammenti: Lyceum e Athenaeum.

Introduzione.

Nello studio del romanticismo bisogna primieramente concentrarsi sullo Schlegel degli anni posteriori al 1795. In quest'anno infatti esce Sullo Studio Della Poesia Greca, un testo in cui Schlegel non è romantico, ma mantiene una posizione ancora classica. Tra quest’anno e il Dialogo Sulla Poesia vi è l’importante produzione dei frammenti Lyceum e Athenaeum, anche se questi ultimi sono i più famosi.

Vi è una parte dell’Estetica di Hegel, in cui questi si confronta col concetto di Ironia romantica (p.75 sg. ed.Einaudi) propria di Schlegel. Hegel pensa che Schlegel sia più una natura critica che non filosofica, che abbia un certo valore la sua polemica verso i modi di vedere correnti, e valuta in modo positivo il lavoro dei due fratelli Schlegel atto a valutare e tradurre le opere del passato dei poeti non solo occidentali, ma anche orientali (soprattutto dell’India).

Schlegel fa un importante soggiorno a Parigi che determina un sostanziale cambiamento dei suoi interessi. Vi è poi un’altra fase in cui si converte al cattolicesimo e diviene un sostenitore della monarchia asburgica. Vi è insomma un secondo Schlegel.

Sullo studio della poesia greca.

Questo testo è costruito tutto su una contrapposizione con Schiller riguardo all’antitesi tra mondo antico e mondo moderno, per cui appare in Schlegel una concezione molto interessante del tempo moderno come «tempo intermedio». Questo sta ad indicare che la modernità si situa tra un “prima” e un “poi”, tra un “non più” e un “non ancora”. In altre parole la modernità è quel tempo che ha alle spalle un passato che non potrà più ritornare, che è il mondo classico, però, in Schlegel e nei romantici, oltre alla modernità, al presente, è ipotizzato un tempo futuro, che ha un valore anche per giudicare l’epoca presente. C’è quindi questa gran tensione escatologica e utopistica.

L’idea del tempo intermedio c’è anche in Hölderlin, ed è interessante, in quanto questi parla della modernità come di un tempo di povertà, perché i vecchi dei non ci sono più, e i nuovi devono ancora arrivare. Ma cio che poi lo differenzia fortemente dai romantici è che la filosofia di questi ultimi è carica di soggettività.

Ma qual è la differenza tra mondo antico e moderno in questo studio? Quello antico per Schlegel è il mondo della cultura naturale (questa è una ripresa di Schiller), mentre quello moderno è quello della cultura artificiale. Nel mondo antico la fonte originaria dell'attività è un'esistenza indefinita e il legislatore è l’istinto. In questo mondo non vi è ancora il definito, mentre il mondo moderno è quello dell’intelletto (lo dice anche Hegel). Qui se l’istinto è la forza originaria, l’intelletto costituisce la direttrice in cui quello viene guidato. All’origine del mondo moderno vi è quindi l’emancipazione dell’intelletto.

Cosa è l’intelletto per Schlegel? È la facoltà di separare e mescolare, per questo egli chiamerà il mondo moderno “chimico”; dominato da una forza separante che tende alla definizione, e che fa si che tutti i rapporti siano distrutti o resi perlomeno problematici. Mentre il mondo antico è quello della connessione, il moderno è quello dello smembramento.

Il giudizio che qui si dà della poesia moderna è che essa è la poesia dell’individualità originale e “interessante”, e proprio quest’ultima è per Schlegel la categoria estetica del moderno. L’interessante è l’individuo originale. Schlegel in alcune lettere interpreta Amleto come emblematico del suo tempo. La figura di Amleto è il riferimento per indicare questa individualità moderna, costituita da uno squilibrio tra la forza del pensiero e l’impotenza dell’azione. L’uomo moderno è un uomo — come dirà Nietzche nella seconda inattuale — in cui «un eccesso di memoria uccide l’azione», e questo è un punto in cui egli riprende dei temi del romanticismo. Quello che è importante ad ogni modo, è che qui Schlegel da un giudizio negativo sul proprio tempo: il moderno è questa sorta di tempo dominato dall’intelletto e dal soggetto isolato. Questa posizione è ancora molto simile allo Hegel dell’estetica (ed. cit.).

I Frammenti.

Nel 1797, con l’uscita dello scritto Lyceum, vi è una revisione dei valori. L’essenza del moderno è sempre questo elemento di frattura, ma nello stesso tempo si presenta un impulso alla riunificazione. Questa è una caratteristica del concetto romanticismo in Schlegel: la consapevolezza della frattura, e in pari tempo il riconoscimento che solo da questa si può ricevere l’impulso alla riunificazione. Nei romantici quindi l’istanza non è di tipo mistico - panteistica, ma nasce dalla consapevolezza della frattura.

La poesia romantica.

Fondamentale è la definizione di poesia romantica data nel fr.116 Athenaeum

«la poesia romantica è universale progressiva. Il suo fine non è soltanto quello di riunire nuovamente tutti i separati generi poetici, e di porre in contatto la poesia con la filosofia e la retorica […]»

e per questo i romantici troveranno nel Romanzo la forma d’arte capace di fare questo. L’intento di riunire i generi poetici è una specie di filosofia della filologia. Schlegel ha detto delle cose interessanti sul linguaggio come esperienza di filologo[1]. Il frammento continua

Essa [poesia romantica] vuole, e deve anche, ora mescolare ed ora separare poesia e prosa, genialità e critica, poesia d’arte e poesia ingenua[2], render viva e sociale la poesia, poetica la vita e la società, poetizzare lo spirito (Witz[3]) […].

 Questo «rendere viva e sociale la poesia» si può ricollegare a quella parte del Dialogo sulla poesia in cui si fa il discorso sulla mitologia popolare capace di formare una nuova coscienza collettiva.

Nel fr.115 Lyceum si dice:

Tutta la storia della poesia moderna, è un continuo commento al breve testo della filosofia: ogni arte deve diventare scienza e ogni scienza arte; poesia e filosofia devono essere unite…

 questo verrà ripreso più avanti, ma ora si vuole ribadire la estrema esigenza di riunificazione che può essere considerato l’impulso fondamentale del pensiero di Schlegel. Questa esigenza di un collegamento tra filosofia e poesia è anche però un’esigenza di unità interna a ogni singolo momento (p.e. dentro la stessa filosofia). Nel fr.39[4] Athenaeum Schlegel parla del fatto che la filosofia debba essere sistematica e non sistematica contemporaneamente, cioè essa è sempre unilaterale, privilegia una categoria sull’altra. Ma anche dentro l’estetica vi è questa necessità di unitarietà, p.e. con un’idea di poesia come intenzione più istinto; in altre parole essa non deve essere ne solo intellettualistica ne solo sentimentale, ed anche il bello deve essere attraente e sublime al contempo. Nell’etica infatti Schlegel propone una unità del sentimento e della saggezza. Ed infine anche in una sua definizione dell’amore nel fr.50 Athenaeum in cui Schlegel dice:

Il vero amore dovrebbe, per la sua origine, essere interamente arbitrario, e interamente casuale e nello stesso tempo apparire necessario e libero, per il suo carattere dovrebbe essere insieme determinazione e virtù, sembrare un’intero e un miracolo.

 Potrebbe essere interessante un confronto tra questa visione dell’amore e quella di Hegel in questi anni. Comunque la caratteristica fondamentale del pensiero di Schlegel è questo anelito all’unità, alla comunicazione, alla universalità, all’infinità.

La forma dell’IO

Il secondo punto importante per capire il senso della critica  che Hegel fa all’ironia romantica è: la forma dell’IO. In Schlegel essa è la forma dell’io isolato, e questo è decisivo perché è riproiettato su di sé. È questo aspetto per cui l’io diventa oggetto di se stesso, che in genere viene chiamato “riflessione”, ciò è proprio fare del proprio io il proprio oggetto (quindi anche Amleto è in questo senso un io della riflessione). Quindi il soggetto è isolato e consapevole del proprio essere: è autorispecchiamento.

Questo è quanto troviamo nello Hegel giovane, la riflessione è individuazione, cioè il costruirsi del soggetto singolo in quanto tale. Poiché essa individuazione è un processo che avviene attraverso la separazione da qualcos’altro, essa è quindi il superamento della condizione di unità dell’uomo con la natura in una nuova condizione in cui l’uomo è separato dalla natura, isolato e riflette su se stesso, è cosciente. Hegel scrive un testo nel 1800 sulla filosofia della riflessione Differenza tra i sistemi di Fichte e Schelling, infatti questa filosofia è quella che viene da Kant e Fichte. Schlegel è discepolo di Fichte come dirà anche Hegel nella sua critica all’ironia, che per Hegel ha origine, non a torto, in Fichte; non bisogna però dimenticare Kant se si vuole comprendere l’ “io” di Schlegel. Kant è un costante riferimento per Schlegel, e ciò è testimoniato anche da altri frammenti ancora non tradotti in italiano (frammenti dell’apprendistato). Si può comunque vedere questo riferimento di Schlegel nel fr.1 Athenaeum: «Non c’è oggetto su cui si filosofi più di rado che sulla filosofia stessa»; e poi  fr.3 Athenaeum: «Kant ha introdotto il concetto di negativo nella filosofia», vuol dire che la grande conquista di Kant è la Filosofia Critica, ché la critica significa proprio riflessione, la filosofia che indaga su se stessa, che assume una diffidenza nei propri confronti. E quello che è interessante è che questo concetto di critica Schlegel lo applica alla poesia, dice infatti che la poesia ormai deve fare poesia di sé: fr.238 Athenaeum

C’è una poesia in cui l’uno-tutto  è la relazione dell’ideale e del reale, e che perciò, in analogia con il linguaggio filosofico potremmo chiamare poesia trascendentale […] così anche quella poesia dovrebbe […] in tutto quello che rappresenta, rappresentare se medesima, ed essere sempre, insieme poesia e poesia della poesia.

E quest’ultima idea è quella che la poesia debba operare su se stessa, diventare a sé oggetto.

La riflessione è dualismo, ma esso dualismo interiore si deve potenziare divenendo capacità di comprensione Heideggeriano, infatti Heidegger dice che Hölderlin è il poeta del poeta, tutte le sue poesie non fanno altro che parlare del compito del poeta e del linguaggio poetico. E qui vediamo come questo tema della poesia della poesia ha la sua origine nel romanticismo di Schlegel influenzato da Kant e Fichte.

Dopo Kant allora diviene difficile conciliare l’elemento oggettivo e quello soggettivo, dopo di lui questa opposizione è data, e il compito del romanticismo è quello di tenere l’unione al di là questa separazione, ma riconoscendo questa ultima come tale. La riflessione è allora sia l’elemento di sintesi che quello di frattura.

Allora vediamo meglio la struttura della Riflessione che è la cosa filosoficamente più importante: la riflessione da un lato è Autoriferimento, quindi è espressione dell’isolamento del soggetto: riflettere in sé è consolidare questo isolamento,  però nel momento che il soggetto diviene oggetto a se stesso acquista anche un distacco da sé e pertanto può come innalzarsi su di sé e guardare se stesso e il mondo. Nella riflessione ci sono insieme questo autolacerarsi e questa capacità di annullare la lacerazione che la riflessione determina.

Si potrebbe allora dire che ciò è Dialettica, ma Hegel invece crede che questa sia alcunché di molto lontano da ciò che egli intende per dialettica, crede che questa sia una dialettica mancata. Vi è infatti un capitolo nella scienza della logica che rappresenta la sanzione di questa critica (cap. sulla cattiva infinità) sul rapporto tra finito e infinito: dove appunto c’è un cattivo rapporto tra i due, allora c’è Cattiva Infinità, che Hegel rimprovera ai romantici come il frutto di una dialettica astratta che non conclude, ma rimane aperta, non definita.

Sulla base di questa riflessione che è frattura e capacità di annullare tale frattura, nell’intenzione di Schlegel, c’è certo anche la visione che il mondo non è altro che apparenza. Certo se l’io cerca se stesso in questo isolamento, l’altro dall’io è in una condizione di apparenza, di inconsistenza. Però quello che è interessante è che questa dinamica (e non dialettica) della riflessione è in realtà una dinamica del continuo potenziamento della riflessione. Una volta che l’io si isola e quindi si distacca dal mondo, dall’interno però di questa riflessione, assume anche la capacità di annullarlo, diciamo anche con una seconda riflessione, e così via con questo continuo rinnovarsi all’infinito di questo movimento riflessivo.

Escatologia e Utopia

Altro punto importante è quello più direttamente escatologico e utopistico (è molto difficile esporre Schlegel vista la sua impostazione asistematica e frammentaria), direttamente collegato è il fr.222 Athenaeum:

Il desiderio rivoluzionario di realizzare il regno di Dio è il punto elastico della cultura progressiva e il principio della storia moderna. Ciò che in essa non ha nessuna relazione con il regno di Dio ha un valore secondario …

qui vi è un elemento molto caratterizzante che consiste nel dire che l’autogenesi del moderno si deve assolutamente all’Anticipazione, solo sulla base di questa, di questo passo oltre la condizione del moderno, è possibile la vera comprensione del mondo moderno. Quindi il romanticismo fa sua la valutazione negativa del moderno, dove però questo giudizio negativo è simultaneo a una anticipazione dello sguardo retrospettivo, cioè ci si mette avanti, in quella condizione altra, però la si anticipa. È la forma per cui lo stesso soggetto è in anticipo su se stesso. Ecco una concezione della soggettività che poi ritroveremo in forma compiuta in Heidegger, il quale dice che l’uomo, l’esserci, è progetto gettato in anticipo rispetto a se stesso (avanti-a-se-stesso). A tale proposito e interessante il fr.139 Athenaeum:

 Dal punto di vista romantico anche le degenerazione della poesia, perfino quelle eccentriche e mostruose, hanno un loro valore quali materiali ed esercizi preparatori dell’universalità, purché ci sia in esse qualche cosa, purché siano originali.

Quindi questa relativizzazione del presente a partire dal futuro cosa significa? Significa che è impossibile dare un giudizio negativo su quei temi: la poesia moderna è esercitazione preparatoria, è qualcosa di provvisorio. Questo è quell’elemento di autoriconoscimento che c’è nei romantici, il carattere provvisorio e preparatorio del moderno. Tuttavia questo che può sembrare un giudizio negativo, in quanto preparatorio, diventa un giudizio positivo nel momento in cui quel carattere è preparatorio in funzione progressiva. La poesia romantica è poesia universale progressiva, è un frammento, ma un frammento carico di futuro[5].

Vi è una frase di Mendelssohn che dice «…la bellezza è direttamente proporzionale alla quantità di idee, e inversamente proporzionale al tempo…» e questo è un principio che sarà decisivo, ed è decisivo per capire la poesia contemporanea. È l’idea dell’intensità, che porta ad una strana vicinanza la poesia e il motto di spirito (Witz). Nel saggio di Freud Sul motto di spirito infatti, la cosa che più colpisce è il tema della battuta  che è simultanea, e questo lo ritroveremo nei frammenti dei romantici, nel witz del motto di spirito.

 

nel fr.116 Athenaeum si dice, a proposito del divenire della poesia:

La poesia romantica è ancora in divenire, anche questa è la sua vera essenza: che può soltanto divenire, mai essere. […] Essa sola è infinita, come essa sola è libera, e riconosce come sua legge questa: che l’arbitrio del poeta non soffra legge alcuna. Il genere romantico è l’unico ad essere più che un genere, e quasi la poesia stessa, in quanto che in un certo senso ogni poesia è o deve essere romantica»[6].

Il concetto romantico di ironia.

Del punto di vista di Schlegel è interessante comprendere la teoria dell’ironia per poi valutare meglio le critiche che Hegel gli muove nelle lezioni di estetica, in particolare a pag. 75 sgg. Anche qui è da considerare il periodo ristretto del pensiero di Schlegel  che va dal 1795 al 1800 l’anno in cui esce il Dialogo sulla poesia.

Riflessione

Il punto più importante riguarda la nozione di “riflessione” (già visto) che esplicitamente viene messa a tema da Schlegel in più occasioni. Per “riflessione” egli intende il soggetto che si isola, si autoriferisce, si pone per sé, quindi da questo punto di vista, anche Hegel parla di riflessione, e ciò è proprio il porsi per sé del soggetto che in qualche modo si separa dal mondo. Quindi questo primo aspetto della “riflessione” come autoriferirsi del soggetto è anche un suo separarsi dal mondo. Ma contemporaneamente essa è anche l’autocoscienza, quindi è un divenire, del soggetto, oggetto a sé medesimo, il soggetto si separa da sé. Quindi nella “riflessione” è presente questa duplice separazione: 1) quella del soggetto dal mondo 2) e quella del soggetto da se stesso. Per questo secondo aspetto di inevitabile separatezza dell’autocoscienza Schlegel sottolinea il fatto che separandosi da se stesso, il soggetto diventa in grado di autodistanziarsi e quindi di guardare in modo sinottico contemporaneamente sé e il mondo; e quindi per questa capacità annulla la frattura che la “riflessione” aveva provocato. Quindi in questa duplicità, della separazione del soggetto dal mondo e del soggetto da sé, in quest’ultima separazione c’è la possibilità di ricongiungere il soggetto e il mondo. Cosa vuol dire? Questa è una visione estremamente importante sia in senso terminologico, perché il termine “riflessione” ricorre in Hegel e in altri autori di questo periodo, ma ha una sua valenza particolarmente significativa in quanto individua quello che poi si tradurrà compiutamente nell’ironia, cioè individua che la soggettività è separatezza, implica una separazione, ma oltre a ciò, ha in sé una sorta di possibilità di riunificazione. Quindi questa compresenza di separazione e riunificazione che abbiamo visto è qualcosa che lo stesso Hegel attribuisce alla coscienza. Quindi la struttura della riflessione in Hegel e in Schlegel è la stessa, quello che cambia è che per Schlegel non si darà mai una riunificazione della separazione, un momento definitivo di compimento, un esito ultimo, un approdo che possa essere chiamato sapere assoluto o congiungimento con l’infinito, ma questo movimento di scissione e di superamento di scissione si riprodurrà all’infinito — da questo punto di vista Schlegel consapevolmente incorre nella critica che Hegel fa cattiva infinità, cioè quella che prosegue senza mai compiersi. Ciò di cui Schlegel parla è di un potenziamento della riflessione, cioè questa separazione che la riflessione ha prodotto tra l’individuo e il mondo può essere superata da un’altra riflessione, dall’aspetto per cui la riflessione è distanziamento da sé, è sinossi tra l’individuo e il mondo, ma questa essendo riflessione riproduce una separazione tra individuo e il mondo che richiederà un’altra riflessione, e così via. Questo aspetto di autoriferimento, ma anche di autoseparazione presente nella riflessione, è vista da Schlegel come un rinnovato potenziamento all’infinito della stessa. E vedremo come una struttura del genere sta sotto alla visione che Schlegel ha dell’ironia.

Il Tempo.

Facendo anche un discorso, più centrato, sul giudizio che i romantici, e in particolare Schlegel da su il proprio tempo, sull’arte del proprio tempo, vediamo che da un lato questo giudizio è sicuramente un giudizio negativo: la poesia moderna per Schlegel è un’esercitazione preparatoria, è qualcosa di semplicemente provvisorio. Però questo aspetto negativo si capovolge simultaneamente — secondo un struttura di pensiero paradossale molto tipica di Schlegel —, che definisce il suo pensiero una filosofia caotica in cui ogni coppia oppositiva filosofica chiede in qualche modo il suo opposto ecc.— questo aspetto di critica negativa al carattere meramente provvisorio e preparatorio della poesia contemporanea, si volge poi invece in positivo individuando questo carattere proprio nel senso di un movimento progressivo. Come detto nel fr.116 Athenaeum, che è uno dei più importanti, in cui si dice che mentre

Altri generi sono finiti e possono venire compiutamente analizzati. La poesia romantica è ancora in divenire…

allora da un certo punto di vista la contemporaneità è qualcosa di provvisorio, ma da un altro punto di vista essa ha in sé stessa questo movimento in divenire, progressivo che può portare oltre se stessi. Quindi se questo discorso lo guardiamo rispetto allo smembramento del mondo moderno, quest’ultimo viene interpretato non soltanto nel senso dell’intelletto, della negatività — che p.e. per il primo Schlegel del saggio sullo studio della poesia greca lo portava a un giudizio senz’altro negativo sul presente e basta —, ma ora diventa anche possibilità di conciliazione. La formula che Schlegel usa in proposito è «emerge dal frammento un elemento di futuro» — e questa è la cosa che mi interessa far vedere.

Il Frammento.

La caratteristica del Frammento in cui emerge un elemento di futuro, perché il frammento è progetto, «un germe soggettivo di un oggetto in divenire, è preparazione alla sintesi», cosa vuol dire? Vuol dire che l’incompiutezza, il non-ancora, la possibilità non esaurita, tutti questi aspetti che sono dentro il frammento, vengono visti come germe, possibilità di sviluppo, come progetto di un’ulteriorità. Quindi il frammento non è qualcosa che non è stato raggiunto, l’incompiutezza del frammento non è l’interruzione di un disegno più ampio che non si è realizzato, ma è anticipazione, promessa, questo forte elemento escatologico che è presente nel pensiero di Schlegel — che poi avrà fortuna in tanti autori del ‘900. Quindi il gusto, la teorizzazione dei frammenti si rivela parte integrante di uno sforzo per realizzare la sintesi. Allora la cosa veramente difficile da capire rispetto a un pensiero come quello di Schlegel è questa: da un lato c’è una forte sottolineatura della autosufficienza del linguaggio umano, o, se volete, del frammento: cioè il frammento non è un moncone, o semplicemente la parte di un tutto, esso in qualche modo è totale a se stesso. C’è una sorta di autosufficienza del frammento o se volete del linguaggio poetico come linguaggio dell’uomo, però contemporaneamente — ed è questa la coscienza difficile da capire — pur essendo una totalità, pur essendo autosufficienti il frammento e il linguaggio umano, sono riferiti a qualcosa d’altro all’assoluto, all’infinito, alla sintesi. E questo aspetto di duplicità di questi autori, è tipica della loro visione della poesia e del linguaggio poetico e che permette un grosso confronto con altri autori contemporanei; in altri termini la sintesi, l’unità, il divino, la totalità per Schlegel, forse anche per Novalis perché c’è una stretta vicinanza tra i due, è un alcunché di inattingibile, però in ciò che è parte che è frammento c’è — proprio perché c’è la consapevolezza di questa differenza rispetto alla totalità — un senso di mancanza però interpretato in modo dinamico, come tensione all’infinito, come anticipazione. Credo che in questo modo i romantici abbiano cercato di pensare il senso della finitezza: che cos’è la finitezza (p.e. il linguaggio umano)? È qualcosa che può anche compiersi in se stesso, però non può, pur in questo compimento, negare il proprio riferimento ad altro, quindi nel finito c’è un compiersi e un non-compiersi. Il finito può anche totalizzarsi p.e. nella morte, però questa totalizzazione in qualche modo non esaurisce, quindi è il tentativo di parlare del linguaggio poetico come qualcosa di autosufficiente che però non perde il riferimento all’assoluto.

L’Arabesco.

Quando Schlegel teorizza l’arabesco[7] da una parte esso è il fregio, è l’ornamento — sembra che la nozione di ornamento implichi proprio «ornamento di qualcosa d’altro» —  d’altra parte, adoperando il termine di arabesco in campo letterario, per indicare un’opera d’arte, esso diventa una nozione per pensare la categoria dell’ “esser fine a se stesso”: la poesia dice Novalis è selfsprache cioè autolingua. Quindi quando si incontra, per esempio nel Dialogo sulla poesia, questa nozione di Arabesco, è molto importante perché indica certo l’ornamento delle arti figurative, ma anche, per Schlegel, un genere poetico autonomo accanto alla novella e al romanzo e indica la forma ideale romantica: l’arabesco è l’unificazione dei generi letterari, che per Schlegel si ha nel Romanzo. Ma non c’è soltanto il fatto che il romanzo unifica gli altri generi letterari, ma c’è anche il fatto che nel romanzo, interpretato in senso romantico, questo si unifica con la teoria del romanzo; cioè c’è una trascendentalità del romanzo in senso romantico: esso è anche la propria teoria, si sdoppia in se stesso in un discorso su se stesso. Questo tentativo Schlegel lo ha fatto ed è venuto fuori un mostrum estetico, nel senso che p.e. Heine ne la scuola romantica definisce la Lucinde di Schlegel la più assoluta mostruosità estetica. La Lucinde è questo romanzo che Schlegel scrive e pubblica nel 1799, quindi rientra nel periodo che ci interessa, che appunto è un romanzo e nello stesso tempo un saggio/teoria del romanzo, comunque non è un’opera d’arte riuscita.

I contemporanei di Schlegel.

Un aspetto interessante in questo discorso sul frammento e sull’arabesco è la possibilità di inserire il discorso di Schlegel nel confronto con altri autori limitrofi e contemporanei. Si dice che il filosofo per antonomasia del romanticismo, dell’idealismo trascendentale e della filosofia dell’arte (cfr. N.Hartmann, La filosofia dell’ idealismo tedesco) sia stato Schelling (anche se in realtà è stato Fiche); perché in Schelling c’è l’idea che l’assoluto si attinge attraverso l’arte, la quale in questo è superiore alla filosofia. Proprio questa idea, per cui Schelling è considerato un romantico, è conflittuale con questa visione di Schlegel che vi ho appena detto del frammento: per cui esso e il linguaggio poetico sono un’anticipazione, ma in qualche modo portano in se stessi l’affermazione dell’impossibilità di attingere l’assoluto. Proprio questa è la posizione diversa che non è quella di Schelling, in cui invece l’arte è l’accesso privilegiato all’assoluto, è la fusione dell’universale e del particolare, dell’idea e dell’individuo; ecco questa idea dell’arte come momento di equilibrio tra l’assoluto e il finito, in cui la parte è in equilibrio col tutto, in cui l’assoluto trova la sua manifestazione, l’idea trova un proprio darsi visibile e sensibile, ecco questa visione dell’arte - dicevo - non è quella di Schlegel. Questa visione è p.e. quella che teorizza Goethe parlando di Simbolo, o quella che teorizza Hegel parlando di arte classica, per il quale infatti è un momento di equilibrio tra il finito e l’infinito, tra lo spirito e il sensibile, tra l’idea e il fenomeno, anche se poi in Hegel questo punto ha un prima e un poi che producono uno squilibrio. Però in Schlegel il punto di equilibrio non ci può essere. Schlegel nel Dialogo Sulla Poesia dice «…i giochi dell’arte sono lontane imitazioni dell’infinito gioco del mondo, dell’eternamente auto-creantisi opera d’arte…»; quindi i giochi dell’arte umana sono queste lontane imitazioni dell’assoluto. E su questa base Schlegel dice anche «…in altre parole ogni bellezza è allegoria…», il sommo principio per il fatto che è ineffabile lo possiamo esprimere solo in modo allegorico. Allora c’è un nesso tra l’affermazione che l’assoluto è ineffabile, inattingibile e l’affermazione che il linguaggio poetico è allegorico; quindi se per Goethe quel momento di congiunzione tra l’idea e il fenomeno era il simbolo, in questi autori è l’allegoria; anche se in Schlegel non c’è una rigorosa distinzione tra allegoria e simbolo: in genere si dice allegoria, ma si può anche dire simbolo, però comunque si intende quello che noi intendiamo come allegoria, se ci riferiamo, su questo punto, a Goethe come pensatore paradigmatico.

Quello che interessa comunque, al di là della terminologia, è che indichiamo una concezione (quella di Schlegel) per cui il linguaggio poetico non è espressione diretta dell’assoluto. Nella filosofia dell’arte di Schelling, egli dice invece esattamente l’opposto, cioè che la mitologia è simbolica e che nella mitologia noi abbiamo l’uniformazione del finito e dell’infinito, qui invece tra questi due piani vi è uno scarto. E quindi il piano del linguaggio umano è un piano dell’allineare del connettere e del dire sempre di nuovo.

L’Ars Combinatoria.

A pag. 41 del Dialogo sulla poesia in cui si parla della mitologia —che è anche la nuova poesia, ecc.—, si dice che questa è un tessuto in cui tutte le cose si assimilano e si trasformano e quindi c’è questa continua metamorfosi e questa continua relazione: questa è la visione del linguaggio poetico. Esso è un tessuto di connessioni, di allineamenti, di saper trovare i nessi la dove non appaiono, anche detta Ars Combinatoria proprio per una esplicita ripresa dell’ars combinatoria[8]. Quindi il linguaggio poetico non rimanda all’assoluto che resta un al-di-là, e quindi proprio perché l’assoluto è un al-di-là il linguaggio poetico si  muove non in senso verticale, in un rapporto con l’assoluto, ma in un rapporto orizzontale, senza mai dimenticare l’assoluto, comunque, in un continuo dire e ridire, di allegorie e metonimie. Vi è quindi una grande attenzione al linguaggio e alle sue capacità. Ma interessante è che questo aspetto per Schlegel non vale solo per il linguaggio poetico, ma vale anche per la filosofia: anche questa è un movimento per approssimazione, non può fare a meno di simboli, essa è questa tendenza all’infinito. Quindi quello che è importante è capire la compresenza di questi due aspetti apparentemente contraddittori: da un lato non c’è un abbandono della prospettiva assoluta, anzi è questo che poi ha portato spesso spesso fraintendimento: in Schlegel c’è una filosofia sintetica, si parla di assoluto, di infinita unità, di infinita pienezza, però questa prospettiva pur non essendo abbandonata si ribalta nel suo opposto, in un linguaggio che è un frammento, che è un dire sempre di no e diversamente, che sa la non realizzabilità del suo compito e del suo tentativo sempre ripetuto di realizzarlo:

Nella nostra sfera vitale e nella nostra lingua il divino si lascia esprimere e comunicare solo in modo indiretto

in qualche modo l’ironia ha a che fare con questa dissimmetria tra l’infinito e il finito, con questo aspetto per cui l’infinito è costantemente presente però non può mai essere attinto veramente.

L’Ironia

Un ulteriore cosa è il fatto che in questa visione, se la misuriamo in termini di filosofia della storia, il momento successivo al moderno non sarà ne una ripetizione del primo momento del passato greco ne qualcosa di completamente nuovo, il terzo momento sarà qualcosa che appunto ribalta ciò che è già presente nel moderno. Appunto in questo ribaltamento l’eccesso di individualità conduce all’oggettività, al suo opposto, secondo la formula di Schlegel «i nostri difetti saranno le nostre speranze». Su questa base ora potremmo capire la teoria dell’ironia —che è molto complessa e su cui c’è una bibliografia sterminata— per essere delimitata può essere considerata fondamentalmente su tre piani, tre temi che l’ironia sviluppa.

L’ironia riguarda il peculiare rapporto che il poeta romantico ha con la sua opera.

Da questo punto di vista il frammento che in genere si cita è il Fr.37 Lyceum (pp.24-25), in cui compare un concetto fondamentale che è quello di autolimitazione. Schlegel dice che bisogna assumere l’autolimitazione perché altrimenti saremmo limitati dal mondo, invece assumendo noi stessi l’autolimitazione svilupperemo contemporaneamente la potenziale infinità del soggetto. Anche qui vediamo che l’ironia sta nella consapevolezza che toglie all’autolimitazione la sua caratteristica negativa. L’ironia libera un doppio movimento di autolimitazione e di autocreazione. «La vita viene cosi riferita a un senso profondo infinito», ma questo senso profondo infinito non è immanente alla vita, è appunto un punto di vista esterno; allora è su questa base che Schlegel può dire che la vita è un gioco, perché la vita è un gioco se è vista e interpretata da un punto di vista ad essa esterno. Allora giocare il gioco della vita è giocare un gioco in cui si sta dentro e fuori la vita; vivere la vita come un gioco è il poterla trascendere. Ecco quindi questo gioco di autoannientamento e di autocreazione: si tratta della possibilità di trascendere. Ciò significa che riconosciamo che ci è negata l’armonia, la pienezza perché noi siamo nel frammento, nella parzialità nella disarmonia, ma in base all’atteggiamento ironico, come a metterci da questo punto di vista esterno, ribaltiamo questo giudizio negativo su questa situazione, e allora è come se fossimo parte di questa armonia, che però, allo stesso momento non riguarda la nostra situazione.

L’ironia riguarda l’opera d’arte in quanto tale; la struttura immanente dell’opera.

Per ciò che riguarda questo punto il fr.42 Lyceum è molto importante; dice «la filosofia è la vera patria dell’ironia […] virtù e genialità»; quello che è chiarissimo è che dentro quest’opera d’arte permeata di ironia c’è un sollevarsi dell’infinito sul determinato — questa è un’accezione dell’ironia che troviamo poi direttamente in Hegel tematizzata in vari modi. L’ironia è la distruzione di ciò che è condizionato, lo stare dentro il condizionato, dentro un’opera d’arte finita, condizionata, ma nello stesso tempo lo starne fuori.

L’ironia infine riguarda l’atteggiamento del critico.

Il concetto di critica letteraria è un concetto che ha avuto un preciso sviluppo in questi autori— L’accezione più semplice è forse l’atteggiamento ironico del critico, contiene anch’esso il distacco da ciò che è condizionato; la distruzione del condizionato per ottenere un innalzamento alla totalità. Questi autori hanno una visione per cui la critica completa l’opera, ma lo fa distruggendone la compiutezza. Per esempio, nelle commedie di L. Tieck ritorna spesso l’aspetto molto importante, che abbiamo incontrato in Hegel, dell’attore comico che esce dal personaggio, questo è un aspetto proprio della commedia. Nelle commedie latine, però, questo aspetto in Tieck non è una riduzione della figura drammatica all’attore, come p.e. Hegel quando parla di Aristofane. Ovvero l’uscita dal personaggio: non è che dietro al personaggio compare l’attore, come è in genere nella commedia dove l’attore si toglie la maschera, dice Hegel, e compare il suo sé effettuale. Questo in Tieck non avviene, c’è invece un’uscita del personaggio opposta a questa, c’è una riflessività del personaggio, per cui il personaggio parla di se stesso come personaggio, come esistenza drammaturgica, come potenziamento: a un certo punto un certo personaggio, p.e. l’oste, riceve un altro personaggio, mentre l’altro personaggio non sa di essere un personaggio, l’oste lo sa e lo teorizza. Questa è una forma concreta di ironia perché si produce uno sdoppiamento di piano —p.e. questo oste che riceve il personaggio gli dice «ecco io come oste delle commedie dovrei fare così e così, in altri casi si fa così, in genere poi tutti gli avventori dell’osteria svolgono questo…» insomma c’è questo potenziamento riflessivo del personaggio, che non lo fa uscire da se stesso, perché resta l’oste, però è consapevole della sua esistenza drammaturgica; qui si vede bene come ironia e riflessività si sovrappongono, il soggetto diventa oggetto a se stesso, e quindi il mondo drammatico che è per eccellenza un mondo assoluto —la forma teatrale onnicomprensiva, come linguaggio assoluto, che si cala totalmente diventa anche trascendibile, cioè questa compresenza di totalità della scena drammatica, perché non si toglie la maschera, non è ne lo straniamento di Brecht, ne il togliersi …, ma è questa  riflessività, per cui in qualche modo viene anche trascesa l’autoriflessione, si crea un distacco, l’autoriflessione è questo distacco del personaggio da se stesso, ma nel senso che il personaggio sa di essere un personaggio, e quindi parla non solo da oste, ma anche da personaggio della commedia.

In conclusione il soggetto dell’ironia romantica è l’uomo isolato divenuto oggetto a se stesso. E questo luogo, soggetto della riflessione, è Amleto, è l’uomo a cui la coscienza ha tolto la facoltà di agire, e quindi sa che non potrà nell’azione realizzare, ne superare le scissioni che ha davanti, non ha una spinta pratica attivistica. Questo Hegel, in quelle pagine sull’ironia lo dice, egli coglie molto bene questo aspetto: da un lato il personaggio ironico è totale a se stesso, distrugge tutto è solo lui, si pone come totale, gode di se stesso (la pagina finale sulla commedia) ma questo godere di se stesso, questo eliminare la paura dell’altro si converte nel suo opposto, perché il personaggio, il soggetto che ha consumato tutto ciò che gli è esterno, che ha consumato la sostanzialità, poi si strugge e la ricerca di nuovo, e quindi si crea una delle figure tipiche del romanticismo che è l’anelito [Streben], tensione verso l’unità e l’infinità, in questo mondo pieno di fratture e di finitezza, e questo Hegel lo coglie molto bene, questa dimensione di onnipotenza del soggetto ironico che ha distrutto tutto e ha riferito tutto a sé, a questo punto si sente anche povero vuoto, e ha bisogno di colmare questo vuoto, Hegel usa “indigenza”, quindi si scopre indigente. Insomma questo soggetto che da un lato è onnipotente, si sente creatore del tutto, dall’altro lato poi si scopre indigente. nella Fenomenologia dello Spirito infatti questo momento di godimento, di gioia che si ha con la commedia si rovescia, subito dopo che Hegel ha parlato della religione disvelata, nella coscienza infelice. Quindi appunto questo compiersi del soggetto che annulla tutto e resta solo se stesso poi, per Hegel, entra in una condizione di indigenza di precarietà che lo spinge di nuovo verso l’unità, infinità e sostanzialità. Quindi l’ironia è proprio questo tentativo di sostenere una situazione standosene a sé e distaccandosene contemporaneamente. Questo è il punto più delicato dell’ironia. Una riflessione sempre ulteriormente potenziata  cerca di conquistarsi un punto esterno, e di annullare sul piano fenomenico la frattura tra il proprio io e il mondo. Quindi un annullare la fratture, ma dall’altro lato sapere che questo annullamento produrrà una costante riproposizione della frattura e della separatezza. Quindi è solo l’anticipazione del futuro, questa dimensione progettuale quella che può restare in questa condizione. È come se il romantico riconoscesse la perfezione e l’armonia solo nel passato e nel futuro. Invece tutto ciò che gli si fa incontro nel suo presente viene misurato con questo riferimento alla sua pienezza e quindi distrutto nella sua frammentarietà e non pienezza.

 

Piccola bibliografia.

 

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A. de Paz, Romanticismo europeo. Un' introduzione tematica, Liguori, 1987

A. de Paz, Rivoluzione romantica. Poetiche, estetiche, ideologie, Clueb, 1981



[1] Da sottolineare il legame poesia - filosofia anche in relazione allo scritto “il più antico programma dell’idealismo tedesco” di questi anni.

[2]Cfr. Schiller «sulla poesia ingenua e sentimentale».

[3] ”Witz” può essere tradotto in Italiano con “motto di spirito” (in francese “esprit”).

[4] verificare la correttezza del numero del fr. riferito.

[5] C’è tutta una filosofia del frammento che avrà una grossa fortuna in Lukacs, Benjamin, Kierkegaard che subiscono l’influenza di Schlegel.

[6] cfr. «Dialogo sulla poesia» p.59. 

[7] l’ARABESCO è una figura ornamentale tipica dell’arte araba che raffigura in genere un fitto intreccio di foglie e di fiori.

[8] cercare riferimento.