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Eliano Fantuzzi
L’occhio
artistico di Fantuzzi, anche se si applica al quotidiano, a ciò che
tutti noi conosciamo perfettamente, vede oltre, più a fondo, forse,
certamente al di là della superficialità delle cose.
In ogni suo quadro si nota infatti una certa segreta tensione, si
percepisce questo anelito che si esplica nello scegliere gelosamente il
motivo interno delle cose, nel tentativo di portare alla luce un
significato altro e inusuale.
Quando ritrae i bar della città, quando si sofferma sui ponti, sulle
stazioni, sulle automobili o sui tram che passano, Fantuzzi non dipinge
la struttura, ma la vita di questi oggetti o luoghi. La sua, insomma, è
una tecnica di natura morta, applicata però alla vita. I suoi bar, ad
esempio, anche se così famigliari, non ci appaiono mai tali. Non vi è
nulla di abituale. Con la sua pittura, l’artista riscopre e penetra il
nostro ovvio quotidiano, nel tentativo di scoprirne e portarne alla luce
il senso più recondito.
La scontatezza, solo apparente, dei soggetti si riverbera anche nel suo
stile che può essere scambiato per dimesso, facile e piano. In realtà,
lo stile di Fantuzzi è assai complesso. La sua pittura è tutto un
gioco di luci, di impercettibili trapassi di colore, e forme sfumate,
che si espandono e che espandendosi danno unità all’opera. La
riduzione delle forme a zone colorate non risulta schematica, perché
viene applicata seguendo il suggerimento delle forme stesse ed è
condizionata da una intonazione di fondo, ad una nota principale a cui
tutto si subordina.
Una mitologia, quella dell’artista, che verrebbe da chiamare
crepuscolare, se non fosse per la negatività che tale accezione porta
inevitabilmente con sé. Eppure, non altrimenti potremmo definire i suoi
piccoli treni che corrono come giocattoli, buttando pennacchi colorati,
quelle sue vedute di Venezie annebbiate, scandite da vapori terrei e
luminescenti, oppure quelle figure di fioraie gentili o donne che
aspettano chissà cosa, senza darsene pena. E poi, i ponti, le fontane,
le piazze, gli esterni dei mercati e le scalinate di Roma.
Scenari, oggetti, personaggi nei quali è davvero facile, anche per un
occhio inesperto, cogliere la verità dell’artista. Le opere di
Fantuzzi sono come ricordi di viaggio, appunti, fotogrammi, scorci di un
qualcosa che l’ ha emozionato, colpito e che non vuole, non può
dimenticare.
Ne consegue una pittura con lontane ascendenze impressionistiche, un
dipingere sciolto e rispondente più che altro al bisogno di
"impressionare" con i colori una particolare emozione.
Fantuzzi trova la sua misura più propria quando, non accantonando del
tutto il fascino del museo impressionista riesce a raggiungere un’interiorità,
che non è solo pittorica, ma tematica. Una interiorità che è anche
solitudine. Ma una solitudine senza tristezza, appena velata di
malinconia.
E così, i suoi paesaggi, le sue città, non sono che quinte dove, da
soli a soli, i personaggi che di volta in volta animano la scena, si
raccontano un’avventura passata, forse nemmeno vissuta.
Uomini e donne, ritratti avulsi dal ritmo frenetico della vita, che
sulla tela del maestro appaiono, alla fine, come frutti o fiori, con una
finitezza che ce li rende ancora vicini ma che, allo stesso tempo, ce li
allontana.
Le prime esperienze
Poco subito dopo la nascita
a Modena, Fantuzzi si trasferì insieme alla famiglia a Verona. Nella
città dell’arena, uno dei primi ricordi salienti dell’artista è
legato ad una grande parete bianca che i genitori gli misero a
disposizione perché la sporcasse a piacimento con i colori. A sette
anni, quindi, quando incominciava a prendere dimestichezza con i colori
e le forme, Fantuzzi dipinse Muzio Scevola che si bruciava la mano per
avere mancato Porsenna. Nella Verona dei "veronesi tutti
matti", in famiglia già lo chiamavano il piccolo pittore.
La guerra
Dopo essersi trasferito a
Parigi, nel 1939, allo scoppio della guerra, si arruola nell’esercito
francese. Ma nel 1940, quando l’Italia entra in guerra a fianco della
Germania, viene messo in un campo di concentramento. Incredibilmente,
venne poi liberato dai tedeschi. Quando, fatto rientrare in Italia, gli
chiesero dove volesse andare, disse: "Parigi".
L’Arabia Saudita
Nel 1948 Fantuzzi venne
chiamato da Ibin Saud in Arabia Saudita ad affrescare la residenza di
Taif. Per permettergli di sedere alla stessa tavola dell’emiro, venne
addirittura nominato notabile.
A Taif, Fantuzzi dipinse due grandi scene, raffiguranti la
"Pace" e la "Guerra". Nella "Pace" dipinse
animali che si abbeveravano al fiume della vita; nella
"Guerra", invece, gli animali si azzannavano per divorarsi
reciprocamente.
I falsi
La sua storia è
paragonabile a quella di uno dei maggiori artisti del mondo, Giorgio De
Chirico. De Chirico e Fantuzzi sono i due artisti più falsificati d’Italia
e per entrambi c’è da dire che se avessero dovuto dipingere tutte le
opere recanti la loro firma avrebbero dovuto vivere più di mille anni.
La marea dei falsi fu considerata dall’artista, in un primo tempo,
come un premio alla sua bravura. Poi, però, divenne una punizione.
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