QUASAR -I MINERALI- STUDIO SULL'ISOLA DI S. STEFANO
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Ricerca sull'Isola di S. Stefano
Introduzione
Uno studio geopetrografico dell’Arcipelago de La Maddalena,
compiuto dal gruppo di ricerche del C.N.R. per lo studio Geologico-Petrografico
e mineralogico Giacimentologico della Sardegna e pubblicato sul Periodico di
Mineralogia, XXXVII, recita testualmente: “L’Isola S. Stefano, quale
partecipe della unità petrografica che compete all’intero Arcipelago de La
Maddalena, non ha rivelato aspetti discriminativi nei confronti degli altri
settori già investigati ( L. Conti 1964, 1966), confermando palesi omogeneità
sia per quanto concerne la formazione granitica, sia nei riguardi del corteo
filoniano. Informazioni di notevole interesse, suscettibili di essere riferite a
particolari ambientazioni petrogenetiche, sono state ricavate attraverso lo
studio dettagliato degli interclusi
ospiti del granito principale, in particolare, di uno xenolite metamorfico a
composizione gneissica sul quale si riconoscono i segni di una
feldspatizzazione tardiva. L’insediamento di questa ha mutato
l’originario assetto strutturale dell’antico gneiss che pertanto, nelle
porzioni più interne mostra ancora i caratteri di una evidente scistosità. Le
indagini ottiche, roentgenografiche e chimiche esperite sulla biotite, hanno
consentito di ritenere che il granito sia una
roccia costituitasi a spese di una progressiva metamorfosi dello gneiss. Sulla
base di tali risultanze sperimentali, il granito affiorante all’isola S.
Stefano, poiché caratterizzato dalla presenza di xenocristalli, viene
geneticamente inquadrato nell’ambito delle rocce miste, e pertanto se ne
prospetta la sua natura migmatica.” Nonostante la sua apparente somiglianza
con i graniti di Maddalena, anche su Santo Stefano, come del resto su
Giardinelli ed Isola Chiesa, non vi si incontra palese presenza di pegmatiti di
un certo rilievo, quelle importanti pegmatiti che con i suoi “buchini”
ricolmi di calcite spatosa, preservano tanto bene una vasta gamma di minerali
che sono invece presenti in grande abbondanza su Maddalena, Caprera e Spargi. Ci
riferiamo soprattutto a quelle presenze abbondanti di actinolite, anfiboli,
adularia, babingtonite, bavenite, berillo, cabasite, clinocloro, heulandite,
diopside, ematite, epidoto , cenosite, eccetera . Passate al setaccio le poche
piccole cave, ma anche le discariche degli scavi effettuati al livello del mare,
nulla fa pensare alla presenza di pegmatiti. La sola presenza, peraltro ancora
misteriosa, è quella di una sorta di pietra bianca e verde che sembrerebbe
composta di albite e clorite. Possiamo perciò concludere senza tema di smentita
che nessuno può aver trovato alcuno dei minerali sopra citati. Ma torniamo
sull’argomento geologico. Di
Migmatite si tratta, dunque, di una roccia mista quindi, dovuta alla mescolanza
fra minerali di un Paleosoma (roccia preesistente) e di Neosoma (roccia di nuovo
apporto). Il Neosoma normalmente ha carattere granitico e dovrebbe essere di
origine magmatica , almeno secondo J. J. Sederholm, oppure dovuto a secrezione
da parte delle rocce circostanti. Quest’altra ipotesi secondo P.J. Holmquist,
oppure, secondo certi autori Francesi a causa di apporti metasomatici profondi.
In ogni caso con il
graduale aumento nel neosoma si ha una progressiva perdita della tessitura
scistosa e si arriva alla composizione e struttura
di un granito vero e proprio. Dovremmo assistere quindi ad un fenomeno
cosiddetto di granitizzazione. Ci troviamo perciò di fronte ad una annosa
polemica tra giganti magmatisti e giganti trasformisti, i quali alle stesse
rocce attribuiscono un’origine metamorfica e, secondo alcune posizioni
estreme, negano addirittura l’esistenza di magmi primari nella crosta
terrestre. La natura così eterogenea delle migmatiti e la controversia
riguardante la loro origine hanno provocato il fiorire di una ricchissima
nomenclatura, con termini tipo: Venite, flebite, embrechite, arterite,
epibolite, stromatite,
gneiss metatettico, anatessite, oftalmite agmatite, nebulite, merismite
e, chi più ne ha, più ne metta. Insomma ci troviamo in mezzo ad un oceano di
teorie, di ipotesi controverse, in poche parole in un ambiente geologico assai
complesso, e per la sua complessità più che mai interessante ed avendo la
fortuna di essere nati e vissuti in questi luoghi, siamo lieti di occuparcene,
anche se soltanto in minima parte e con la piccola misura che ci consentono le
nostre povere forze. Una cosa è certa però, che giocando allegramente fra i
sassi, anche noi abbiamo dato a questa Santo Stefano
la scoperta di un certo numero di minerali che non sapevamo ci fossero e
che abbiamo potuto scoprire grazie ai lavori di scavo di un’opera militare, scavando
tra le macerie, sommando a questa fatica, la fattiva collaborazione dei
laboratori Universitari, che hanno potuto far luce su tante novità che
altrimenti sarebbero rimaste al buio per chissà quanto altro tempo ancora.
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