BARI: SVILUPPI SUICIDIO IMPRENDITORE BARESE A OSTUNI

Un debito di 150 milioni di vecchie lire, probabilmente nascosto ai suoi familiari, potrebbe essere stata la causa del suicidio di Antonio Cellamare, l'imprenditore 34enne di origini brindisine, ma da tempo trapiantato a Bari dove gestiva assieme ad un socio un'impresa di ristrutturazioni edili, impiccatosi nelle campagne di Ostuni. Questa è almeno l'ipotesi più accreditata sia tra gli investigatori del commissariato della città bianca, che hanno scoperto il cadavere giovedì mattina; che tra quelli della squadra mobile di Bari, che lunedì sera, dopo la denuncia di scomparsa fatta dalla moglie di Cellamare, rivoltasi anche a "Chi l'ha visto", avevano avviato le ricerche. Perde decisamente quota, quindi, la pista satanica, emersa dopo il ritrovamento, all'interno dell'auto di Cellamare, di una rivista esoterica poi risultata collegata ad un millantatore statunitense già dichiarato fuorilegge in Italia. E non c'è simbolismo, del resto, in questo suicidio - l'uomo si è impiccato ad un albero d'ulivo senza lasciare alcun biglietto - che possa far pensare ad un gesto collegato a sette religiose o quant'altro. Un dramma, quindi, che affonda le sue radici in problemi molto più concreti quali, appunto, i debiti contratti, che avevano determinato anche contrasti con il socio assieme al quale Cellamare gestiva l'impresa edile, che era una società a responsabilità limitata. Ci sono, ad ogni modo, in questa vicenda alcune zone d'ombra. C'è chi non è convinto, per esempio, che l'imprenditore non fosse in grado di onorare quei debiti; non ci si spiega poi il perché si sia spinto fino ad Ostuni per mettere in atto il suo piano suicida; pare, inoltre, che il suo tenore di vita fosse rimasto piuttosto elevato, anche negli ultimi tempi. Qualunque fosse il suo problema, ad ogni modo, Antonio Cellamare era riuscito a nasconderlo alla giovane moglie, dalla quale aveva avuto tre anni fa un bambino. L'inchiesta aperta dopo la denuncia di scomparsa sembra essere destinata a chiudersi, a meno che non emerga il collegamento tra la tragedia e il mondo dell'usura.

EVASIONE FISCALE IN PUGLIA

Giro di vite per gli evasori fiscali in Puglia. In totale sono 455 le persone accusate di frode fiscale scoperte nei primi dieci mesi del 2002 nel corso dell'attivita' svolta dai cinque comandi provinciali della guardia di finanza, coordinati dal comando regionale Puglia, nell'ambito del piano di contrasto all'economia sommersa. A questi si aggiungono altri 101 evasori paratotali, che cioe' evadono almeno il 50 per cento del loro reddito. L'obiettivo dell'operazione delle fiamme gialle e' quello di abbattere sensibilmente i dati riguardanti il sommerso nelle aziende, dichiarando guerra al cosiddetto "lavoro nero". In questo senso i finanzieri collaborano con l'agenzia delle entrate, del lavoro, con l'inps e l'inail, in modo da realizzare un piu' ampio controllo nei vari settori dell'economia regionale. Nel solo mese di settembre, gli uomini della guardia di finanza hanno scoperto 46 evasori totali che devono al fisco 14.330 euro di iva. Sempre nello stesso mese sono stati scoperti 20 evasori paratotali che devono al fisco 2.240 euro di iva. I dati piu' preoccupanti si riferiscono alle province di Bari, Brindisi e Lecce. Il fenomeno e' indirizzato in particolare alle aziende per il confezionamento dell'abbigliamento, dove in molti casi le giovani lavoratrici sono costrette ad orari massacrati con paghe inferiori a quelle previste dai contratti nazionali di categoria, e ad imprese di elettronica, meccanica ed impianti industriali, emittenti di false fatturazioni.

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