56 anni dopo ….. Addio Amici

A Firenze – ma forse siamo molto più vicini ad Arezzo – il primo a venirmi incontro è proprio Mario Padelletti ed è come se dalla mia memoria fossero cancellati  tutti gli anni che ci hanno reso adulti.Già  nel nostro venire in macchina fino quassù, Olivotti mi aveva indicato un posto…"vedi, è qui  che ci siamo fermati  prima di entrare a Firenze…". I capannoni  brulli e semi-distrutti  che ci avevano accolti allora  non avevano certo l’aspetto quasi florido che hanno queste mura.

Firenze ci aspettava laggiù, ci sembrava quasi di sentirne l’odore e volevamo solo scrollarci di dosso la polvere e l’angoscia di quei terribili, assurdi dieci giorni che ci avevano ormai definitivamente separati da Roma.

Mario ha ancora i guanti, ma non c’è nessun volante sotto le sue mani e noi siamo un piccolo esercito malato di nostalgia  e di dolore: pensare a Roma, a quelle strade, a quelle case, dove abbiamo lasciato  tutte le nostre  illusioni e i nostri morti – tanti ! – sembra quasi renderci adulti, vecchi… Canteremo ancora, tra un po’, ma ora piangiamo – dentro – e ci sembra quasi di dire addio alla nostra giovinezza.

E’ il 15 dicembre del 2000: siamo intorno ad un tavolo che si  allarga a ferro di cavallo: forse siamo settanta, ma non tutti i visi sono segnati dagli anni: noi siamo i “nonni”ai quali nipoti affettuosi amano dare un segno di composta, ma non troppo, condiscendenza accompagnandoci a questi nostri raduni: altro che i reduci garibaldini che io amavo trovare intorno ad un tavolo di una  trattoria romana, quando ero ancora, solamente, figlia!

Era stata una mattinata di sole quella che il 4 giugno del 1944  ci aveva svegliati da un mezzo sonno di  disperazione e di angoscia  dopo la nostra uscita da Roma.

La Storta, che oggi ritrovo sulla Via Cassia, a pochi chilometri dal grande raccordo, senza soluzione di continuità, tra le eleganti palazzine che  hanno preso il posto di quelle basse ondulazioni di verde che in quella giornata senza fine sembravano offrirci rifugio e riparo dopo che il nostro torpedone  era un solo mucchio di lamiere bruciate, ai bordi della strada.

Ed un odore di morte ci circonda, prima ancora che dei nostri Morti riconosciamo i visi devastati: Roma è lontana, milioni di chilometri lontana: sentiremo un giorno  il rumore assordante dei carri  armati americani che avanzano e le urla di saluto che accompagnano quegli arrivi trionfali. Non ascolta nessuno la nostra silenziosa disperazione. Le strade di Roma sono piene di vincitori, di camionette prese d’assalto da un popolo che ormai ci ha dimenticati, o forse non aveva mai pensato a noi.

Eppure mia madre, in una fredda giornata di febbraio, aveva detto: “…sulla Via Appia ho visto tanti camion con dei giovani soldati che cantavano: li ho salutati…”.

Chi altri ci aveva salutati in quel nostro andare?

Così come in pochi abbiamo salutato, in una altra giornata di giugno – ma sono passati ormai tutti gli anni della nostra giovinezza, e ancora, sette piccole Casse coperte da fazzoletti tricolori, e avremmo voluto dare Loro i volti gioiosi forse anche un poco arroganti  dei soldati che mia madre aveva salutato sulla Via Appia.

Cantavano e andavano a morire!

Ma se i loro volti sono quelli  che noi vogliamo ricordare, i giovani ventenni che ci chiedono di parlare di Loro vedono i nostri visi sui quali gli anni, le gioie e le amarezze hanno lasciato altri segni che ci riesce ancora difficile ammettere come quelli della vecchiaia.

Intorno al tavolo si intrecciano ricordi lontani e notizie recenti: i ricordi sono il nostro legame più forte ed ecco che avvenimenti e persone ritornano come in un film in bianco e nero che amiamo rivedere e ri-raccontarci, cogliendo particolari nuovi, già dimenticati o nascosti ma che la voce di un narratore ci riporta alla memoria.

Siamo sulla strada per Arezzo: è il 12 giugno del 1944: sui camion che ci hanno raccolti a  Castiglion del Lago. Arezzo ci appare piena di ombre umane che si aggirano in mezzo a macerie, alcune ancora fumanti.

Ogni tanto amo rileggere dal mio diario di allora  qualche brano su quel nostro “andare”… non prendiamo la strada principale perché troppo pericolosa, così, in pieno giorno… ma anche questa provinciale piena di buche è una vista che fa proprio paura…

Arezzo ha pagato quel suo essere sulla strada che unisce Roma a Firenze.

E la strada che percorrevamo doveva essere proprio questa  sulla quale si affacciano le finestre del Ristorante, oggi.

Quei giorni avevamo fame: la scorta dei viveri era finita. Ricordo solo  tocchi di carne lessata, con il sale che li rendeva sapidi e che ci vennero offerti – ma da chi? – e noi li addentavamo ridendo.

 Ma oggi non riusciamo a finire le abbondanti porzioni  che una ricca cucina toscana ci pone davanti. Anche se ognuno di noi ha posto accanto al suo piatto quelle pasticche che dovrebbero rallentare – speriamo – il progredire, in negativo, dei nostri anni…

Giugno 1944, cinque donne in divisa!

I contadini ci guardano, non con malevolenza, ma con curiosità; in divisa di chi, e perché?

Mi piacerebbe sapere se qualcuno di loro, ottantenne come noi, oggi, vedendo la sfilata dell’ultimo 2 giugno a Roma, ed ascoltando la voce declamante del presentatore che annunciava: "… le prime donne soldato in Italia…" abbia pensato a quelle cinque giovani  che arrancavano sulla strada della guerra che avanzava e che i brandelli delle loro divise, bruciacchiate e impolverate, erano oggi  sostituite dalle divise smaglianti e impeccabili di quelle che sfilavano in via dei Fori Imperiali.

Davanti a me, oggi, c’è anche Alessandro Tognoloni; non c’era in quei giorni lontani  del giugno ’44  ma lo spazio che il suo ricordo aveva creato nei nostri cuori si è allargato ancora di  più. Con questa sua presenza così mite, così negante eroismi anche se vissuti, così “sopravvissuto” quasi da leggenda.

Non vedo accanto a noi Posio e Cicerone  con i quali avevo marciato per quelle strade della nostra ritirata; ma riesco a fare riemergere dalla memoria la voce di Vittorio Tognarelli che canta "…buona notte, mamma, buona notte…".

Forse anche Baldini e Calamari che mi sorridono dall’altro capo della tavolata accanto a Pieri, stanno rivivendo le emozioni di allora.

E’dicembre: le giornate finiscono presto: è il momento del saluto.

Alla prossima, alla prossima.

Vorranno ancora accompagnarci i nostri nipoti per godere della nostra gioia?

Portiamo con noi il ricordo di questa giornata.

 56 anni dopo…… ADDIO, AMICI

             15 dicembre 2000                                                                        Raffaella Duelli