Lettera a mia nipote...

Roma, 26 giugno 1995

Carissima Michi,

     35 anni fa il giornalista Alberto Giovannini scrisse una lettera pubblica a sua figlia Marzia per confermare la sua appartenenza a ‘quelli’ che il Mass-media catalogavano – e catalogano ancora – come i ‘cattivi’.

     Dalla sua penna mirabile, che troppo presto ha cessato di scrivere, uscirono parole che io riconoscevo come la interpretazione più reale del mio sentire.

     Tu – oggi – nell’attesa della presentazione alle prove scritte della licenza liceale, tu, che pure conosci la storia della mia giovinezza, dopo avere raccolto in giro le solite voci del pre-esami ( voci che, tra l’altro, si sono dimostrate fondate), mi hai chiesto:

     ‘…nonna, mi scrivi un tema sulla resistenza?…’

     Sei rimasta perplessa e sconcertata – lo so – quando ti ho risposto negativamente.

    Non capivi, dato che ogni tanto, negli anni, qualche mio ‘parto’ letterario ha facilitato l’iter scolastico tuo e di tua sorella Francesca.

     Non potevo, Michi, scrivere un tema sulla resistenza: non potevo e non volevo.

     E non solo perché la mia verità poteva nuocere al giudizio che la Commissione si sarebbe sentita in dovere di dare.

     Dalla mia penna sarebbe uscita fuori una verità che è un dono prezioso per me che l’ho vissuta, come lo è stata anche per tuo nonno Luca.

     Una verità per la quale mi sento offesa e ingiuriata dalle tante non-verità che da 50 anni ormai nutrono le generazioni dei miei figli e dei miei nipoti.

     Sai, quando avevo i tuoi 19 anni io ho vissuto un periodo terribile ed esaltante in cui le scelte erano legate a quelle voci che – forse – oggi vi fanno sorridere: la Patria, l’Onore, la coerenza.

     Quelle voci che per noi erano certezze: da difendere, anche con la vita.

     Certo, la mia guerra non è stata armata, ma io ero presente tra gli armati: e la mia divisa era la conferma di una Scelta: l’appartenenza alla Repubblica sociale Italiana.

     Quando sono ritornata a Roma, alla fine del 1945, dopo campo di concentramento e prigione, non ero solo una ‘vinta’: ero, ufficialmente, il simbolo della violenza, dell’odio: da disprezzare, emarginare, rifiutare.

     Come nei films del dopoguerra con i tedeschi e i giapponesi stupidi e bestiali, gli americani, gli inglesi ed i loro alleati coraggiosi, intelligenti, sempre e comunque vincitori.

     Così fu per noi, i vinti della Repubblica sociale: a noi fu allora contrapposta la Resistenza: i gruppi che raramente avevamo avuto occasione di conoscere durante la nostra guerra – guerreggiata, erano diventati migliaia di uomini e donne, decine di migliaia: quasi tutto il popolo italiano si era autonominato ‘La Resistenza’. Tutti sulle montagne.

     Tutti a sparare dai tetti.

     Tutti nelle cantine.

     Noi, i ‘cattivi’ della R.s.I., dovevamo essere dimenticati.

     Mentre la resistenza diventava RESISTENZA, tutta a lettere maiuscole: in suo nome.

     Si distribuivano prebende e medaglie. I deputati ed i senatori.

     Una Resistenza così vasta, così potente, da farne il punto di partenza per la nostra Costituzione.

     Da – insieme al Paradiso di Dante ed al travaglio generazionale – inserirla oggi, dopo 50 anni, dalla fine del periodo che l’ha vista nascere e moltiplicarsi, tra i testi che la tua gioventù doveva elaborare.

     Non piango più, come allora, quando avevo 20 anni e non mi era permesso raccontare la nostra verità, non mi inquieto più: spero sempre che la Storia faccia giustizia: anche se pure Nerone aspetta ancora che si conosca la vera storia dell’incendio di Roma.

     Ma non potevo scriverti un tema sulla resistenza: sai, quando ero giovinetta credevo ancora che i contadini siciliani – al momento dello sbarco americano nella loro Isola – avrebbero combattuto con forconi e badili…

     Solo più tardi ho visto i filmati con le folle festanti intorno alle camionette che ‘occupavano’ o ‘liberavano’ Roma: mettici il verbo che vuoi.

     La Resistenza, per me, è nata così.

     E io non potevo, certo, preparare un tema su questa mia convinzione.

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     Sono contenta che tu abbia scelto di sviluppare il tuo pensiero intorno allo scontro generazionale!

     Ti abbraccio, piccola mia, e non volermene.

                                                                                                    Nonna Raffaella

 

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