Disegni Riccardo Benelli

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A nonna Irene, a mamma e papà

che mi hanno insegnato

a camminare.

a Mene, Titti, Lilli, Bruno

insostituibili fratelli

a Luca, compagno di vita

a Marco, Andrea, Cristina, Francesca, Michela

che ogni giorno mi sono stimolo

per continuare a camminare

a Virginia di Francesca e Matteo,

che un giorno parlerà della sua bisnonna soldato

a Voi amici,

ventenni di 50 anni fa.

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GLI ANTENATI

 

Sono nata il 19 marzo del 1926, a Roma, in Via del Leoncino: una traversa di Via Tomacelli, proprio di fronte al negozio dell'Unione Militare.

Sono tornata in quella casa, che avevamo lasciata quando avevo 3 anni, perché per qualche tempo - dopo la fine della guerra - vi si era installata la redazione del Merlo Giallo, il giornale satirico che, fustigando i costumi politici nel 1946 e dintorni, aveva dato l'impressione di essere «dalla nostra parte».

Via del Leoncino è nel cuore di Roma: scelta da quel secondo Raffaele, mio nonno, che aveva una attività commerciale in Via Borgognona. Una delle cose che avevamo sentito sussurrare era che in quella via - la Borgognona - la mia allora giovane madre non doveva ma passare perché vi erano certe case...

Chiuse.

Ma se erano chiuse che male potevano fare?

Nonno Raffaele aveva anche la congestione di un negozio di antiquariato con il fratello Francesco, in Via Margutta. Mio nonno e suo fratello venivano da una famiglia di quella colonia napoletana di robivecchi, diventati poi antiquari.

Riporta M. Quercioli, in un capitolo della storia dei Rioni di Roma, quello su Campo Marzio:

«...allorché papa Paolo III, Farnese, iniziò la costruzione della Via che da lui prese il nome di Paolina, la zona era un continuo susseguirsi di orti e prati incolti.

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Ancora il 1967

Era una giornata di ponte: il 3 novembre.

Avevo accompagnato Andrea al Massimo, per una gita scolastica; Marco era a casa. Nel mio programma c'era una visita a Suor Tecla, una sorella di papà, che stava aspettando di morire in un pensionato per vecchie religiose a Civitavecchia.

Il cielo, nerissimo, minacciava temporali.

La mia paura dei fulmini mi convinse a rimandare quella visita e pensai ad un incontro con una famiglia, a San Basilio.

Uscii dalla casa di Viale Quattro Venti, con tutta calma.

Dal benzinaio, subito fuori il portone, mi fermai per fare benzina.

Un attimo: sulla strada bagnata e piena di foglie, e che in quel tratto presenta una leggera curva, comparve una macchina.

Dallo specchietto retrovisore la vidi sbandare e piombarmi addosso.

Quando ripresi conoscenza di me, c'era Marco che, con altri, tentava di tirarmi fuori dalla macchina.

Piangeva.

Da quel giorno, tutta la mia vita ha cambiato ritmi: da quel giorno ho smesso di correre.

Avevo 41 anni.

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